Quel sentiero ritrovato tra i boschi della valle di Zena

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A Sassolungo è stato allestito un itinerario di due chilometri lungo le vie di comunicazione che nei secoli passati collegavano poderi e opifici. Lo scopritore: “La sfida era di ricreare quei passaggi e rivivere qualcosa che mi avvicinasse a quel passato per tanto tempo rimasto silente”.

Di Ermanno Luconi

(Pubblicato sul numero uscito nella primavera del 2012)

Eravamo, se ben ricordo, nell’anno scolastico ’71-72 , ci si doveva diplomare geometri. Il professore di Scienze delle costruzioni affrontò un giorno il discorso su porte e abitazioni. Ad un certo punto si pose, e ci pose, una domanda: Le porte dividono due ambienti o li uniscono?. Seguirono mille risposte, qualcuna azzardata, molte banali, pochissime di buon senso.

Anni dopo, ricordando questo episodio, mi sono posto una domanda simile: Le strade ci portano in qualche luogo o ci  allontanano dallo stesso?

In entrambe le domande non c’è una sola risposta: le porte possono collegare o dividere, le strade ci portano o ci allontanano.

Qualche tempo fa un amico mi porta dall’Ufficio Tecnico Comunale, alcune copie del vecchio catasto pontificio del mio podere, nel quale risultavano strade delle quali non conoscevo il tracciato né l’esistenza. Ad un più attento esame anche il catasto d’oggi riportava, negli stessi luoghi, alcune linee tratteggiate però, andando sul posto occorreva molta fantasia per ritrovare quei sentieri, tanto meno le strade di una volta.

In realtà ero io a non essere in grado di guardare con occhio attento il bosco, la montagna e tutto quel mondo all’apparenza uguale, monotono e disordinato. Alberi svettavano, altri coricati marcivano, il tutto dava l’idea di una sconfitta, di un magazzino mai più visitato da tempo immemorabile.

Ho dovuto cambiare modo di guardare, ho dovuto immaginare vite d’altri tempi, vite d’altri uomini, lavori ormai perduti quali far legna con scure e sega, il trasporto dei tronchi con animali da soma dal bosco, dalla montagna fino a casa, e piano piano al mio occhio si sono magnificati piccoli e tortuosi tratturi. I sentieri, quando la pendenza era troppa, zigzagavano e nei punti più dolci la carrata si faceva più larga e dritta. Gli alberi all’interno del tratturo erano più duri, coriacei, frutto di un terreno più compatto, più arido, meno fertile.

Vorrei descrivere l’impresa di riaprire questi sentieri come un’opera titanica, anche il trattore, in non pochi tratti non poteva sfidare quei pertugi e le pendenze parevano proibitive anche per lui però il lavoro, un bel giorno, è cominciato.

La sfida era di ricreare quei passaggi e rivivere, seppure in modo diverso, qualcosa che mi avvicinasse a quel passato per tanto tempo rimasto silente. Seppure in modo nebuloso intravvedevo, o meglio sognavo, di creare una via che nei momenti di bisogno mi allontanasse dalla pesantezza della quotidianità per poi, appagata la fame di natura e silenzio, ricondurmi, più forte, alla vita di ogni giorno.

A dire il vero da subito mi sono accorto che era inappropriato parlare di solo lavoro, era un’avventura, faticosa certo, non scevra di rischi ma avventura era e come tutte le vere avventure non finiscono mai a meno che non si voglia rinunciare ad un sogno, ad un gioco, ad una favola.

Certamente la suggestione e l’emozione hanno fatto la parte da leone: non mi pareva vero di aggirarmi per boschi fitti di querce secolari, crinali d’altri tempi ricchi di passato, trovare ostriche fossilizzate e molluschi nascosti malamente dall’arenaria, schegge di granate che ricordavano lacrime e sangue di poveri diavoli e strati geologici che tagliati dal coltello delle Ere suggerivano un mondo lontano ma allo stesso tempo tangibile.

Non era solo bello, era meraviglioso.

Era come camminare nella storia: quella recente, quella dei miei genitori, quella di vecchi e sconosciuti eroi, di boscaioli e di personaggi che vivevano e convivevano veramente la montagna e così via, a ritroso, fino all’inizio dei tempi.

Alla fine dei lavori, in realtà e per fortuna interminabile, mi sono accorto che la strada partendo dal corso d’acqua sotto casa, come in una sorta di anello magico, mi porta in posti per me struggenti di fascino, di natura, di fantasia ma lei, la buona strada, alla fine con dolcezza mi riporta allo stesso torrente e da qui, al mio tetto e per questo la ringrazio.

Si potrebbero raccontare storie per ogni albero, per ogni fosso, per ogni solco e per ogni scorcio. Il bosco, nel suo insieme, avrebbe tanto da raccontare ma… questa à un’altra storia.

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