Le immagini e la storia di Antonio Iannibelli, il fotografo naturalista che da anni batte i sentieri dell’Appennino sulle tracce dei branchi che si sono stabiliti sui nostri monti
di Filippo Benni
(pubblicato nel numero dell’inverno 2011)
Con i lupi, Antonio Iannibelli ha sempre convissuto. Da bambino, a San Severino Lucano, centro del parco del Pollino, assieme al nonno pastore ha imparato a conviverci. Una volta arrivato a Bologna, ha scoperto che il lupo lo aveva seguito e, risalendo la dorsale appenninica, lo aveva raggiunto. Si sono incontrati di nuovo a Monte Sole, una decina d’anni fa, e da allora non si sono più lasciati. “I lupi sono animali incredibili, intelligentissimi. Sono convinto che mi conoscano, o che almeno non mi considerino un pericolo: mi vedono come parte integrante del loro ambiente. Sono convinto che riconoscano il rumore della mia macchina e che decidano così di farsi vedere, e fotografare”.
Messa così, l’arte del fotografo di lupi sembra una passeggiata. Invece nasconde anni e anni di studio, decine e decine di alzatacce al chiarore della luna e decine di chilometri percorsi nel freddo e nel fango. Per la maggior parte senza nemmeno la macchina fotografica al seguito. “Prima bisogna esplorare il territorio, conoscere i boschi centimetro per centimetro, capire quali sono le loro zone. Bisogna entrare in sintonia con il branco, farsi accettare. Poi si torna con la macchina fotografica, il cavalletto e tutta l’attrezzatura. Naturalmente di notte, e si rimane appostati fino alle prime luci dell’alba”. Se si ha fortuna e talento, si torna con la preda digitale. Al posto del fucile la reflex, invece del carniere la chiavetta usb, ma la differenza tra Iannibelli e i cacciatori si ferma a questo. “Mio padre era il classico emigrante, in giro per l’Europa a cerca lavoro, io ho sempre vissuto con mio nonno – racconta – Me lo ricordo sempre con il fucile in spalla, la nostra è una famiglia di cacciatori”. Ma niente sport, la caccia per chi ha vissuto nel Pollino fino a 16 anni, è una cosa naturale. “Il calendario venatorio se lo facevano loro. Con regole non scritte ma rispettose del bosco e della fauna. È mio nonno che mi ha fatto conoscere il lupo. A volte gli rubavano qualche pecora ma non me li ha mai descritti in maniera negativa. Erano parte della vita, del nostro territorio. Mio nonno non abbandonavano mai il suo gregge, difficilmente il lupo riusciva portarsi via le pecore. La convivenza non era semplice, ma ci si adattava. Quando ci uccidevano qualche animale, era l’occasione per mangiare della carne. Il lupo, se pur presente in numero cospicuo, era l’ultimo dei problemi”. Più che un fotografo naturalista, Iannibelli si descrive come un naturalista fotografo, e la passione per pellicole ed obiettivi è nata proprio grazie al lupo che oggi è il suo soggetto preferito.
“Ero nel Pollino, circa 30 anni fa – ricorda – Sapevo tutto del lupo, del suo sguardo affascinante ed ipnotico, ma no lo avevo mai visto. Dopo il primo incontro sono stato folgorato ed ho iniziato a interessarmi di fotografia: in qualche modo volevo catturarlo”.
Anche se la popolazione in questi dieci anni è molto aumentata, le possibilità di incontrare il lupo è quasi zero. “Bisogna studiare molto, frequentare chi il bosco lo consce alla perfezione. Ci si può avventurare sul campo solo quando si ha un bagaglio informativo importate, altrimenti i lupi non si vedono. O si vedono, ma per un attimo e senza possibilità di fare fotografie”.
Non tutti però sono felici di questo ritorno come e quanto Iannibelli. “Vivere dove vive il lupo è una fortuna – ribadisce – Si possono avere predazioni e altri problemi, ma si ha la fortuna di vivere in un territorio che sicuramente ha un’alta qualità ambientale. Cinghiali, picchi, cervi, caprioli, ghiri, cornacchie: i problemi per chi vive in montagna sono tanti, ma la soluzione non può essere l’eliminazione di tutte queste specie”. La soluzione, per il naturalista fotografo è una sola: la conoscenza. “Conoscerli per imparare a conviverci. Per questo organizzo corsi ed incontri e se me lo chiedono vado volentieri a parlare con gli allevatori”.