ECOSISTEMI E ALLUVIONI

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Cosa succede ad habitat e organismi quando straripa un fiume?

di Andrea Morisi – Sustenia Srl

Non senza ragioni, la considerazione dell’impatto sugli ecosistemi di eventi alluvionali, come quelli che in modo ricorrente stanno interessando il territorio, non rientra nella narrazione corrente. Comprensibilmente l’attenzione è rivolta ai danni al sistema sociale ed economico, insediativo e produttivo.

Tenendo ben presente questa legittima attenzione e lasciando volutamente fuori dal ragionamento sia l’evidenza della crisi climatica globale, sia la ricerca di capri espiatori locali (siano essi nutrie, alberi o tombini), occorre rilevare che l’impatto degli allagamenti si esplicita anche sulle componenti ambientali del territorio (suoli, ecosistemi, organismi) che, però, raramente sono oggetto di considerazione, sia in forma di studio, sia in termini di comunicazione.

Detto questo occorre fare alcune premesse, che sarebbero scontate, se non che basta un attimo per venire incasellati in qualche -ismo e attribuiti a qualche ideologia, a cui non vogliamo sottrarci, ma semplicemente non riteniamo questa né la sede appropriata, né l’intento dei ragionamenti che di seguito si vanno a fare.

Partiamo, dunque, con il dire che esiste la piena consapevolezza dell’immenso impatto che i disastri idraulici hanno recato alla popolazione, alla vita delle persone, alle loro case, al loro lavoro, nonché al territorio abitato e utilizzato dall’uomo. Rispetto a questi aspetti è esplicita la vicinanza umana.

Un’altra precisazione riguarda il fatto che ci si sta riferendo al contesto della pianura, vale a dire a un territorio ampiamente e storicamente antropizzato, per cui il richiamo a ipotetiche condizioni “naturali” è tutt’al più un artificio utilizzato per rendere meglio l’idea.

Rimane, in ogni caso, assolutamente auspicabile che si possa presto contare anche su ricerche e su dati che rendano evidenza, sul piano scientifico ed oggettivo, di quello che qui tratteremo in modo necessariamente generico e colloquiale.

La natura contro la natura?

Cosa succede, dunque, quando un fiume della pianura rompe gli argini o li sormonta, in occasione di fenomeni meteorologici estremi come quelli che la crisi climatica ci sta mettendo di fronte sempre più frequentemente?

Il fiume costituisce il grande motore geomorfologico che genera la pianura. Ciò avviene da milioni di anni e, banalmente, non staremmo parlando della pianura bolognese se non ci fosse stato un insieme di corsi d’acqua, grossolanamente dal Panaro all’Idice, che con il loro divagare geologico nella Bassa avessero spagliato le loro piene, depositando ghiaie, sabbie, argille e limi.

L’esondazione di un corso d’acqua dal proprio alveo costituisce, prettamente, un fenomeno naturale. Come noto, i nostri fiumi sono stati artificialmente inalveati, regimentati ed arginati. I circa duemila anni, dalla Centuriazione romana alle bonifiche moderne, che hanno dovuto essere impiegati per bloccare i tracciati degli alvei fluviali e regimarne le portate, sono molto pochi rispetto ai tempi geologici naturali. Inevitabilmente, l’esondazione di un fiume contrappone la natura all’uomo anche se, paradossalmente, lo straripamento di un fiume comporta un impatto anche nei confronti degli elementi naturali o almeno quelli ancora presenti nel contesto artificializzato della pianura attuale.

Rischio ecologico

Anche i campi coltivati sono ecosistemi (agroecosistemi) e così le aree abitate (ecosistemi urbani). L’esondazione di un fiume comporta quindi anche un rischio ecosistemico, con l’impatto nei confronti della componente fisica dell’ecosistema, nonché di quella biologica.

Un sistema ecologico, di norma, esprime una propria resilienza alle perturbazioni che lo possono interessare. Più l’ecosistema è strutturato, maturo, diversificato e più è capace di opporsi agli impatti, ma, evidentemente, più gli impatti avvengono repentinamente e intensamente e meno risulta resiliente.

Prendiamo il caso che stiamo trattando. L’esondazione di un fiume avviene, nella nostra pianura, in seguito ad una piena che, a causa degli gli argini, ha concentrato ingenti volumi d’acqua nell’alveo e nelle golene, fino a quando, per sormonto o rottura, l’acqua invade un determinato territorio. Ciò avviene dunque velocemente e in modo ingente. Gli agroecosistemi e gli ecosistemi urbani non sono, per loro stessa natura, molto resilienti e il danno apportato dall’esondazione è molto forte. L’impatto diretto ha luogo a causa della forza che l’acqua esercita sul terreno uscendo dal fiume, ma quello più significativo è senz’altro caratterizzato dall’annegamento di un numero spropositato di organismi. Nel primo caso si viene a determinare l’erosione locale del suolo, la creazione di buche e avvallamenti, da un lato, e di accumuli del terreno smosso dalla corrente, dall’altro. In questo frangente possono nascere repentinamente depressioni, essere divelti alberi e ricoperte ampie superfici con detriti. Habitat, nicchie ecologiche e organismi vegetali ed animali vengono quindi fisicamente cancellati. Nel secondo caso l’imbibizione del suolo e il formarsi di un battente d’acqua, per quanto più lenti, determinano l’annegamento di tutti gli organismi che non riescono a nuotare, galleggiare o allontanarsi fortuitamente. Muoiono quindi gli innumerevoli organismi del suolo, dai lombrichi alle talpe, ma anche insetti, chiocciole, ragni, topi, toporagni, arvicole, lucertole, ramarri. Possono essere impattate anche specie di maggiori dimensioni, come ricci e donnole e altri Vertebrati, compreso i loro piccoli, se la stagione in cui avviene l’esondazione è quella riproduttiva. Il numero di animali che subiscono gli effetti di un’alluvione risulta probabilmente davvero enorme e l’impatto locale per la biodiversità conseguentemente importante. Se l’acqua permane per giorni dopo l’esondazione, l’asfissia radicale può, poi, uccidere le piante, sia erbacee sia legnose.

Se avviene la deposizione del limo e degli altri solidi sospesi a formare anche solo pochi centimetri sul preesistente terreno, si verifica una sorta di annullamento diffuso delle comunità biologiche.

In condizioni davvero naturali, questa fase catastrofica in realtà generebbe fisicamente nuovi ecosistemi, che poi ospiterebbero prima specie pioniere e poi neoecosistemi, passando per successioni che comportano, in fondo, una diversificazione spaziale ed un arricchimento della biodiversità. Ma gli ecosistemi attuali, che sopravvivono o sono stati ricreati appositamente nella nostra pianura, sono troppo pochi, frammentati e deboli per potersi complessivamente giovare dell’alluvione come motore della diversificazione ambientale e ciò comporta, di fatto, solo effetti negativi.

Fenomeni di questo tipo possono verosimilmente portare all’estinzione locale di specie e alla scomparsa di habitat, con ulteriore appesantimento del bilancio.

Il post allagamento si può infine configurare come il colpo di grazia, con il disseccamento delle melme che si sono depositate nelle aree allagate e i successivi interventi di rimozione, necessariamente impattanti a causa dei movimenti terra, se l’uomo vi cerca poi di intervenire.

Altri effetti sull’ecosistema

Ciò che resta localmente dopo un’alluvione, dal punto di vista ecosistemico, è dunque una sorta di deserto a cui si aggiungono anche altri impatti legati al mutamento drastico che l’ambiente fisico ha subito a causa del possibile instaurarsi di micro-condizioni locali diverse a causa della scomparsa della copertura vegetale, della variazione dell’umidità e del grado di insolazione diretta. Probabilmente gli effetti possono arrivare a riverberarsi addirittura fino al livello del microbioma fungino e batterico.

Va inoltre considerato che gli effetti dell’alluvione possono indirettamente portare ad alterazione fisico-chimiche dei suoli a causa dell’apporto di quanto trasportato con l’acqua, fino al configurarsi di inquinamento da sostanze chimiche, oli e inquinanti vari che durante gli eventi meteorologici così importanti confluiscono nei corsi d’acqua.

Nello specifico, nel caso degli agroecosistemi, oltre al danno alle colture, si possono venire a determinare fenomeni di ruscellamento delle sostanze utilizzate agronomicamente, come concimi, diserbanti e pesticidi, con la contestuale vanificazione degli effetti per i quali erano stati utilizzati ed il loro pernicioso trasporto altrove con il ritiro delle acque.

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