Il monumento intitolato L’Amor Patrio e il Valore Militare dedicato al contestato re Umberto I è stato restaurato e riposizionato sui muri del Comune da cui era stato staccato dai fascisti della Repubblica di Salò
di Gian Luigi Zucchini
(pubblicato nel numero di primavera 2019)
Si deve all’intelligente impegno dell’imprenditore bolognese Francesco Amante se il monumento intitolato “L’Amor Patrio e il Valore Militare” è stato da pochissimo ricollocato sulla facciata del Palazzo D’Accursio in piazza Maggiore, insieme alla lapide commemorativa del re Umberto I, come lo volle l’autore e la Giunta Comunale dell’epoca.
Era il 1909. Da neppure un decennio, nel 1900, il re Umberto I di Savoia era stato assassinato a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci, per vendicare gli 80 morti ed i numerosi feriti seguiti alla repressione dei gravi disordini scoppiati a Milano e in altre parti d’Italia. E fu proprio nella città lombarda che il generale Bava Beccaris, nel 1898, ricevette l’ordine dal governo, presieduto dal marchese Antonio di Rudinì, di reprimere i disordini con qualsiasi mezzo. Contro le manifestazioni di operai e cittadini il Bava Beccaris andò abbastanza per le spicce: usò cavalleria e anche cannoni contro la folla. Il re, che passò alla storia come ‘il Re Buono’, ma che poi tanto buono non era, apprezzò l’energia del generale, e lo nominò nello stesso anno Grande Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia e, subito dopo, Senatore del Regno.
A nome della cittadinanza bolognese, si volle in seguito rendere omaggio al sovrano defunto, e si incaricò l’artista Giuseppe Romagnoli di eseguire un monumento che celebrasse i principali aspetti della personalità del re: l’amor patrio, dimostrato fin da giovanissimo da Umberto, che partecipò con particolare convinzione alle battaglie e alle lotte del Risorgimento; e il valore militare, dal momento che il sovrano, ancora principe di Piemonte ed erede al trono, partecipò molto giovane dalla seconda guerra d’Indipendenza, distinguendosi per valore e coraggio soprattutto nella battaglia di San Martino contro gli Austriaci, nella II guerra d’Indipendenza.
Il Romagnoli, seguendo questa traccia, realizzò due statue in bronzo: l’una, che simboleggia l’Amor Patrio, è di materna e severa espressione, ad indicare la fermezza e insieme la forza di un sentimento che travalica l’emotività e si costruisce mediante la fermezza interiore e l’amore, testimoniato dalla bambina che, secondo l’uso classico, abbraccia le ginocchia della donna che raffigura la madre-patria; la seconda, che rappresenta il Valore Militare, ha un aspetto virile, molto michelangiolesco nel vigore muscoloso delle membra; e in qualche modo più barocco nel volteggiare dei panneggi dietro le spalle.
Le statue, osservando e discutendo sulle quali si potrebbe già delineare un significativo quadro storico, offre in seguito alcuni altri aspetti molto interessanti, che riguardano le vicende, non solo della città, ma di riflesso anche della nazione.
Nel 1943, infatti, le statue furono staccate dai fascisti della Repubblica Sociale: le parti in marmo del monumento furono distrutte, quelle in bronzo furono invece collocate in depositi (prima a Villa delle Rose, poi nel cortile dell’Accademia di Belle arti).
La distruzione fu attuata per obbedire ad un’ordinanza della Repubblica di Salò, in cui si disponeva che “tutte le intestazioni, indicazioni o insegne, comunque riferentesi alla ex casa regnante o ai suoi componenti, dovranno essere eliminate o sostituite con altre di indole repubblicana”. Un’ulteriore riflessione storica ci porterebbe quindi a ridosso dell’ultima guerra mondiale: per cui soprattutto i giovani delle scuole potrebbero ricavare dal documento spunti molteplici per un lavoro di ricerca e di studio sulla storia, che non si cancella anche nascondendo o peggio, distruggendo le immagini, ; ed anche sull’arte di quel periodo, non poi tanto lontano da noi.
La lapide, che si legge tra le due statue, nel ricordare le figura del Re Umberto ucciso a Monza, ne richiama la visita fatta in precedenza a Bologna, insieme a Margherita sua sposa, nel 1888. E per esprimere la partecipazione al dolore per l’assassinio commesso, si scrive che il Consiglio Comunale aveva deciso di duplicare la somma, stabilita in precedenza per celebrare le nozze d’argento dei Sovrani, per la costruzione di un ospedale per bambini poveri.
In seguito all’interessamento di Francesco Amante, da non molto i resti in bronzo furono sottratti all’incuria e al degrado e sottoposti ad un accurato lavoro di restauro eseguito con tecniche altamente tecnologiche, e collocati dove erano un tempo e dove oggi di nuovo si ritrovano, come soddisfacente conclusione di un percorso storico di rovine, miserie e distruzioni, e di un presente nel quale, pur tra difficoltà economiche e scontri di idee, si sviluppa un percorso dove, nella democrazia ritrovata, si può alimentare anche la speranza, così come il restauro di un’opera d’arte può insegnarci. L’invito è stato che ancora altri (industriali, banche, o semplici cittadini) imitino il gesto di Francesco Amante, per contribuire al recupero di ulteriori e non poche opere storiche e artistiche che si trovano, pressoché sconosciute, nella nostra città di Bologna.
Per quanto riguarda poi l’artista Romagnoli (Bologna 1872 – Roma 1966 ), occorre rilevare che fu scultore di notevole talento, lasciando diverse opere sia a Bologna che in altre città, specialmente a Roma, dove lavorò e si spense.
In gioventù, tra gli ultimi anni del secolo XIX e i primi del Novecento, aveva operato a Bologna con Alfonso Rubbiani entrando poi nella cerchia del gruppo della benemerita ‘Bologna storica e Artistica’ e dell’Aemilia Ars, inserendo nei suoi lavori memorie di queste esperienze, soprattutto di carattere liberty e simbolista, ed in seguito, soprattutto negli anni romani, operando, in una commistione con il moderno, sulle volumetrie e le linee dell’antica romanità.