Nota con sinonimi quali Leonza, Glionza, Aliongia bianca del Bolognese è tra le uve in dismissione e quasi scomparse sulle colline bolognesi a favore del Grechetto Gentile da cui si ricava il Pignoletto
di Alessio Atti
Gli ultimi frenetici decenni sono i protagonisti di un repentino cambiamento piuttosto profondo del tessuto sociale. Cambiando l’economia sono inequivocabilmente mutate anche tutte quelle peculiarità che distinguevano determinati mondi che, bene o male, resistevano da secoli. Scomparsa l’economia di sussistenza e sopravvivenza gestita, nelle nostre terre, dalla statica mezzadria scompaiono anche tante situazioni di gestione del territorio che perduravano da decine di generazioni dove la regola era tramandata empiricamente da padre in figlio senza, spesso, una sperimentazione alternativa.
Sicuramente un settore che negli ultimi 50 anni ha visto una mutazione considerevole è quello enologico e sulle nostre colline, come in pianura, questa evoluzione non ha risparmiato nessuno.
Tra le innumerevoli varietà di uva che costellavano le nostre amate colline ne troviamo alcune che sono arrivate fino ai nostri giorni poiché fortuitamente salvaguardate dall’oblio o mantenute per piccole personali produzioni di vino.
Il percorso del vino bolognese è assai complesso per non dir contorto e trovare il capo, anzi i capi, della matassa è un compito assai arduo.
A volte, in passato, si pigiavano insieme anche 7 o 10 varietà di uve diverse, venivano realizzati vini di grande equilibrio senza però destare quelle emozioni alla bevuta che cerchiamo oggi; certamente poco stabili grazie alle cantine approssimate degli anni passati, erano vini con necessità più alimentari che altro.
Oggi, tra le uve a bacca bianca, la regina dei nostri Colli è sicuramente il Grechetto Gentile che determina l’economia vitivinicola e con la quale si imbottiglia il Pignoletto; un tempo quest’uva conviveva con Uva Angela, Malvasia, Albana, Trebbiano di Spagna, Montuni e tante altre.
Tra queste uve in dismissione e quasi scomparse sulle colline bolognesi a favore del Grechetto Gentile, una che rischia quasi certamente l’estinzione è l’Alionza. Nota con sinonimi quali Leonza, Glionza, Aliongia bianca del Bolognese, Uva Lonza.
Il professor Nazari, nel 1910 afferma che l’Alionza potrebbe essere tra i principali vitigni nella ricostruzione post-fillosserica e Toni nel 1927 la descrive tra i vitigni che hanno contribuito al miglioramento della viticoltura felsinea.
Come sempre i dati certi sono pochi ma pare che sia citata sin dai primissimi anni del XIV secolo dal noto Pier de’ Crescenzi. Nel Bolognese chiamata erroneamente anche Schiava, poiché si pensava provenisse da territori slavi, deve probabilmente questo suo appellativo semplicemente perché era abitudine maritare le sue piante con alberi nelle tradizionali alberate, per reggerne i tralci. Era diffusa anche nel Modenese e nel Ravennate mentre nel Bresciano e nell’Alto Mantovano era utilizzata anche come uva da tavola.
L’Alionza ha buona produttività ma incostante a causa dell’acinellatura, un’anomalia genetica della vite che porta ad una mancata fecondazione nelle primavere con climi avversi. Viene utilizzata, da pochissimi produttori, prevalentemente in blend con altri vitigni, per donare, al vino che si ottiene, un tocco di eleganza e finezza. Ha una buccia molto spessa, ricca di tannino e, se il contatto con le bucce non venisse prolungato, potremmo ottenere vini morbidi e fini.
Ci sono validissime versioni in purezza che ne esaltano le caratteristiche: nella versione tranquilla potremmo trovare un colore giallo paglierino di media intensità con lievi riflessi verdognoli, al naso risulta ampio e ricorda fior di acacia, tiglio e fiori secchi, frutta gialla ed esotica. Il sorso risulta abbastanza fresco e morbido, buccia di agrumi, erbe aromatiche anticipano la delicata chiusura di mandorla tostata. Elegante, equilibrato, ha una discreta capacità di invecchiamento, di alcune versioni lo assaggerei dopo almeno 10 anni dalla vendemmia. Piuttosto notevoli anche alcune espressioni spumantizzate che non sfigurano di certo al cospetto di più blasonate bollicine.
- I GRANDI PICCOLI COLLI BOLOGNESI
- Bologna sorge ai piedi delle colline e da qui parte una chiaccherata con alcuni giovani vignaioli dei colli Bolognesi, le loro speranze e progetti.
Il complesso mondo del vino felsineo potrebbe avere uno sviluppo inaspettato e grazie agli insegnamenti di vigneron esperti vengono raccolte esperienze per dare una sferzata a questo meraviglioso ambiente. Intanto le Due Torri stanno a guardare e dall’alto controllano la città. Dialetti, icone culinarie e storia si intrecciano e si scambiano languidi sguardi fondendosi tra saliscendi attorniati di faggeti e filari di vite. I Colli Bolognesi ispirano gite e visite dall’esito inaspettatamente straordinario, tra tortellini, vini bianchi e rossi colgono l’impreparato viandante alla sorpresa del bello e dello stupore.
I giovani vignaioli, protagonisti del viaggio, con le loro piccole aziende riescono a ritagliarsi un importante spazio tra i giganteschi dirimpettai vitivinicoli, Quasi un Davide tra due Golia.
Storia, vino, passione, paesaggio, buon cibo e amore sono gli ingredienti che compongono questo scambio di parole per passatempo, per diletto. Per passione.Per info e per richiede il libro: alessio.attidefrancesco@gmail.com