Nella basilica di San Petronio, simbolo della libertà bolognese, due sole arti ebbero il privilegio di una propria cappella: i Notai e i Beccai, le due società che ebbero maggiore influenza sulle vicende politiche cittadine dal XIII al XV secolo. Alla fine del ‘900 un altro macellaio salì agli onori delle cronache, non solo cittadine
di Claudio Evangelisti
(pubblicato sul numero di primavera 2019)
Bologna città bottegaia. Ma perché? Tutto parte dal 1288 quando vengo emanati gli Statuti, le nuove norme per regolare la convivenza politica e civile dell’antico comune. Con questi Statuti, Bologna diventerà una “città Stato” con artigiani e commercianti a ricoprire ruoli centrali a livello politico. Tra gli stemmi che nobilitano l’antico Palazzo della Mercanzia sta quello dei “Macellari”. L’influenza dell’Arte dei Beccai (macellai) sorta nel 1251 in quella Bologna che allora era una delle maggiori città d’Europa, viene testimoniata nel 1256 quando venne istituita la figura del Capitano del Popolo, da cui dipendevano le varie società di artigiani e uomini d’arme. Unica corporazione a essere unicamente società delle Arti e delle Armi fu proprio quella dei beccai grazie anche al loro contributo nelle varie sommosse interne e nelle battaglie contro i nemici del libero comune di Bologna: “sempre pronti a metter mano alle armi come il loro mestiere istesso che esercitavano e per il quale si trovassero volentieri uniti”. L’evidente matrice guelfa dei macellai che opera a favore del popolo viene vantata nei versi tradotti dal latino dopo la rivoluzione del 1274 e dove in seguito a una apologia della libertà individuale, si legge la seguente affermazione:
Chi ha ciò che è conveniente avere sia lieto possedendolo.
Non appartenga ad altri chi può appartenere a stesso.
Non è bene vendere la libertà in cambio dell’oro.
Questa è la matricola dei beccai,
dei carnefici popolari che operano cose benefiche.
L’auto definizione di carnefici viene pronunciata con una precisa intenzione.
Occorre infatti ricordare che il grido usato in tutti i tumulti bolognesi fino al 1500 era “ Carne! Carne!” e ciò era da mettere in relazione coi fieri e maneschi beccai, “carnefici” di bestie e all’occorrenza anche di uomini, per la libertà e il predominio della parte popolare. Nel 1398 nella lotta tra i nuovi notabili per il dominio della città prevalse Carlo Zambeccari il cui cognome rivela la suo origine legata al mestiere di beccaio. A lui successe Giovanni Bentivoglio capostipite di una lunga signoria a Bologna. I Bentivoglio erano sempre stati appartenenti all’arte dei beccai e furono da questi appoggiati apertamente, tanto da attribuire a Giovanni II il titolo di “padre della patria” come risulta ancora oggi da una lapide esposta alla pubblica vista in via Caprerie 3, dove fino al 1912 esistette la trecentesca sede dell’Arte dei Beccai. Nella basilica di San Petronio, simbolo della libertà bolognese, due sole arti ebbero il privilegio di una propria cappella: i Notai e i Beccai, le due società che ebbero maggiore influenza sulle vicende politiche cittadine dal XIII al XV secolo. Il 19 febbraio 1561 fra gli iscritti alla Compagnia dei Beccai si trova un nome ancor oggi famoso e che contribuì a spargere nel modo la nomea di Bologna come una delle capitali dell’arte: quello dei sommi pittori Carracci, con le note tele che ritraggono le macellerie bolognesi.
Alla fine del 1600 la forza economica di questa corporazione era al quarto posto per reddito dopo i Notai, i Cambiatori e i Drappieri. Tre secoli dopo protagonista in negativo della categoria fu il famigerato macellaio Pietro Ceneri temuto capo di una associazione di 110 malfattori che culminò nel più grande processo dell’epoca denominato La Causa Lunga. L’ associazione era organizzata in Balle (ovvero combriccole) tra cui la più importante di tutte era la Balla dalle scarpe di Ferro, che controllava tutte le altre e il cui capo era il bel Pietro Ceneri dagli occhi di ghiaccio che, in quel giorno del 1864, tutte le signore accorse in Tribunale, erano venute ad ammirare con una certa morbosa compiacenza. Ancora sul finire degli ultimi anni ’80 gli esercenti macellai erano 500, riuniti in una delle categorie commerciali ed economiche meglio organizzate, in cui lo spirito associativo e le tradizioni erano tra le più intimamente vissute. Tra questi, con due macellerie alla Bolognina, anche mio nonno, mio padre e mio zio.
Nel 1980 proprio in sostituzione di quest’ultimo, nelle vesti di fattorino da bottega, partecipai ai festeggiamenti dei trent’anni del sindacato nella sede del nuovo mercato macello comunale realizzato nel 1974 al Pilastro, in sostituzione del vecchio macello di via Azzogardino. A presenziare al memorabile evento vi era anche il sindaco Renato Zangheri rappresentante del PCI bolognese con 50.000 iscritti e icona della Bologna modello, invidiata dal resto d’Europa. Proprio da lui ricevetti l’elegante cofanetto contente il libro di Mario Fanti intitolato I Macellai Bolognesi. Di fianco al sindaco sul palco, stringeva le mani ai suoi colleghi anche Giorgio Guazzaloca il presidente dei macellai che giocò anche come mezzala nella squadra giovanile del Bologna. Nessuno e nemmeno l’acuto professore Zangheri, avrebbe mai immaginato che quel macellaio con la terza media, a capo di una lista civica, sarebbe diventato il primo sindaco non comunista dal dopoguerra, finendo addirittura sulle pagine del New York Times. Il “Guazza”, autodefinitosi “un peccatore perbene” degno rappresentante della categoria, sanguigno e gaudente, raccontò a un giornalista della Repubblica che quando uno di loro confidò in lacrime che la moglie lo tradiva con un fruttivendolo, fu processato ed espulso dall’albo con la crudele motivazione che «da tre secoli i macellai frequentano le mogli dei fruttivendoli, e non era mai accaduto il contrario». Il nuovo “padre della patria” dei macellai, già amico di Pierferdinando Casini, instaurò ottimi rapporti con l’arcivescovo Biffi e fu stimato sia da Romano Prodi che dal rettorato dell’Università di Bologna. Nel 2004 dopo l’avvento di Cofferati, ricoprì altri prestigiosi incarichi istituzionali. Il 26 aprile 2017 il sindaco Virginio Merola proclamò per Bologna il lutto cittadino. A 73 anni si era spento Giorgio Guazzaloca al quale furono officiati funerali solenni nella cattedrale di San Pietro.