Una carrellata delle storie più singolari tra le valli del Savena e dello Zena per osservare con occhi diversi i territori che spesso attraversiamo frettolosamente senza immaginare i misteri che nascondono
di Giuseppe Rivalta
(pubblicato nel numero uscito nell’estate del 2016)
C’era una volta…
Così iniziavano tutti i racconti che, fin da bambini, ci hanno raccontato i nonni, lasciandoci regolarmente perplessi ed affascinati allo stesso tempo. Anche nelle nostre valli appenniniche si narrano alcune storie misteriose ancora oggi piene di fascino. Conoscendole potremmo osservare, con occhi diversi, questi nostri territori, che spesso attraversiamo frettolosamente e che quindi perdono quel sottile fascino che nascondono. Inizia in questo numero (e si concluderà nel prossimo) un viaggio tra le leggende delle nostre valli che ci porterà dal Passo della Badessa fino in cima al Monte delle Formiche, passando per il castello di Zena e per la misteriosa Croara.
PASSO DELLA BADESSA
Chi non conosce o non ha mai sentito nominare il Passo della Badessa? Perché questo luogo è stato identificato con questo toponimo? La sua storia è a dir poco romantica (come del resto molte leggende). Sulle colline a ridosso di Ozzano dell’Emilia, nel 1142, fu nominata Badessa di un monastero di suore camaldolesi, una certa Lucia Chiari, giovane monaca. Il nome del convento era dedicato a Santa Cristina che si trovava non lontano dalla località di Settefonti e da una catena di calanchi di argilla erosi da ambo i lati che consentivano (allora) di essere attraversati seguendo la lunga cresta. In tal modo si poteva arrivare alla chiesa del convento. Alla guarnigione di Uggiano (oggi Ozzano) apparteneva un nobile soldato (forse di nome Rolando) della importante famiglia Fava di Bologna. Costui, si crede, avesse conosciuto la bella Lucia prima che prendesse i voti e che se ne fosse innamorato. Venuto a conoscenza della sua elezione a Badessa del suddetto convento, per poterla almeno vedere, Rolando si era fatto trasferire alla guarnigione presente a San Pietro di Ozzano e da lì, ogni giorno, attraversava a cavallo la lunga cresta di calanco per seguire la messa a cui ovviamente partecipava, seppur da dietro ad una grata a fianco dell’altare, la sua bella badessa. Per non essere indotta in tentazione, da un certo giorno in poi, Lucia evitò di mostrarsi al suo pretendente con grande rammarico di quest’ultimo. A quel punto Rolando decise di arruolarsi in una spedizione di cavalieri che partivano per una nuova crociata in Palestina. Ma l’avventura militare del bolognese ebbe un esito negativo: venne catturato dai saraceni, imprigionato e messo in catene. Mentre, a Settefonti, moriva Lucia. Una notte Rolando sognò Lucia e le chiese aiuto e conforto. A questo punto avvenne il miracolo: quando il cavaliere si svegliò i suoi occhi videro, invece delle sbarre della misera cella, i calanchi di Settefonti. Era stato miracolosamente trasferito, da Lucia, dalla Palestina alle balze di Ozzano. Portò sulla tomba della sua amica di gioventù, in segno di devozione, i ceppi e le catene che gli legavano i polsi e caviglie. Nel 1508 la monaca venne dichiarata “Beata” e la sua salma venne traslata, nel 1573, nella chiesa di Sant’ Andrea di Ozzano dove ancora oggi si vedono accanto all’altare i ceppi del leggendario miracolato cavaliere. Da allora il lungo e ripido calanco prese il nome di “Passo della Badessa”.
L’EREMITA DEL BARBERIO
Un’altra affascinante leggenda ci porta sulla Val di Zena e precisamente sulle pendici meridionali del Monte delle Formiche. Qui, in piena parete a picco, qualcuno aveva scavato una piccola cameretta raggiungibile solo mediante uno stretto e pericoloso sentiero a picco sulla valle. La tradizione vuole che il riparo rupestre fosse stato creato ed abitato da un eremita di nome Barberio come risultava da un’iscrizione datata 1551 incisa su un lato della cavità (come riportato da Serafino Calindri alla fine del1700). La leggenda racconta che, un giorno di primavera, le campane della sovrastante chiesa iniziarono a suonare a distesa. Subito l’arciprete vide il campanaro osservare estatico le sue campane senza che nessuno ne tirasse le corde. Immediatamente il sacerdote aprì la porta della chiesa e accese tutti i ceri disponibili e con la gente del luogo (arrivata incuriosita da questo scampanio inatteso) si recò alla grotta dove videro l’eremita disteso in un sonno eterno sul suo duro letto di legno con il crocefisso tra le mani. L’aria era incredibilmente profumata e gli uccelli cantavano come per accompagnare l’anima del mite eremita in Paradiso. Pochi anni fa purtroppo la tana dell’eremita Barberio è scivolata a valle insieme a tonnellate di arenarie della parete del monte, per cui oggi resta solo la leggenda a mantenerne vivo il ricordo.
LA STORIA DI ZENOBIA
Poco più in basso, alle pendici settentrionali del Monte delle Formiche, ancora esiste l’antico Castello di Zena sorto in epoca matildica. Anche queste mura raccontano un’altra leggenda di amore e morte: quella di Zenobia. La storia di questa giovane proviene da una lapide (oggi scomparsa) che portava la data del 1081. Anche questa è la vicenda di un amore contrastato che, nel 1876, Raffaello Garagnani , scrittore, descrisse in un suo romanzo dal titolo “La fanciulla di Zena”, ovvero la storia di Zenobia. Questa ragazza era figlia di Sigifredo Ghislieri e Rachilde Foscherari. Per proteggerla dal corteggiamento del giovane Sigiero, della famiglia De Cossi, era tenuta segregata nel Castello di Zena. Le due famiglie, Ghislieri e De Cossi, erano in aperto contrasto perché di opposte fazioni politiche (rispettivamente guelfi e ghibellini) e vietarono il matrimonio tra i due giovani. Sigiero era nipote di Azzone de’ Cossi il quale non accettava il rifiuto del matrimonio fra Sigiero e Zenobia, per cui decise di rispondere all’affronto facendo rapire la ragazza, per darla in moglie a Sigiero con la forza. Intervenne un personaggio di Brento, Simone, armaiolo, che, con la sua astuzia e con secondi fini (allo scopo di ottenere vantaggi sociali ed economici), riuscì ad essere accettato come inviato della Contessa Matilde di Canossa per ritrovare Zenobia. Proprio grazie all’intervento di Matilde, Zenobia e Sigiero coronano il loro sogno d’amore nel 1081. Purtroppo le vicende legate al rapimento ed alla detenzione avevano danneggiato la salute di Zenobia che si ammalò in modo grave e, poco dopo le nozze, morì. Secondo un suo desiderio venne sepolta nella chiesetta del Castello di Zena. La guerra ultima distruggerà la chiesa e la lapide scomparirà.
LA BUCA DEI BUOI
Accanto alla grande dolina della Spipola, nelle colline cristallizzate di gesso della Croara, si apre una voragine a pozzo che porta il nome di Buca dei Buoi. Questa denominazione nasce da un racconto, dell’inizio del secolo scorso, riportato dagli abitanti, i quali raccontavano che, una volta, lungo il ripido pendio, rotolò fin sul fondo un pesante carro trainato da buoi. Misteriosamente, i contadini accorsi sul posto, non trovarono altro che la “stadura”, ovvero il palo in ferro con anelle, che era infisso sul timone del carro agricolo e basta! Fino agli anni’70 del secolo scorso, erano ancora in uso carri trainati da buoi nella zona della Croara.
IL COLLE DI MISERAZZANO
Una delle colline gessose più alte della Croara, che si affacciano in Valle del Savena, reca il nome di Colle di Miserazzano. Anche in questo caso l’origine del nome nasconde una antica storia o leggenda che dir si voglia. Ancora una volta il racconto è ambientato nell’Alto Medio Evo.
Intorno all’anno 1000, un certo cavaliere di nome Azzano risiedeva su quel colle, forse allora fortificato. La sua fama era di essere un grande eroe in battaglia, considerato pressoché invincibile. Questo fatto aveva stimolato varie persone ad andarlo a sfidare, giovani che regolarmente venivano da lui vinti. Un giorno un uomo arrivò, a cavallo, sotto al castello e a gran voce lanciò la sfida ad Azzano. Era attrezzato con armi leggere, ma ben temprate. Azzano, irritato dalle parole dello sfidante, si bardò in fretta ed in due e due quattro, saltò a cavallo e si fece aprire la porta del castello e piombò fuori incontro al nuovo sfrontato sfidante. Lo scontro fu terribile e lungo.
Il rumore del duello echeggiava anche nella sottostante valle. Al terzo giorno, un colpo più forte del previsto fece cadere a terra Azzano che senza avere più forza, non riuscì a rialzarsi. Allora il giovane vincitore lo guardò con un sorriso beffardo e si allontanò al galoppo come era arrivato. Azzano non sopportò questa sconfitta, anche perché tutti lo cominciarono ad isolare. La sua crisi depressiva fu profonda al punto che, un giorno, saltato sul cavallo si lanciò al galoppo nel baratro verso San Ruffillo e con l’ impressionante grido “Miserere Azzano”, si sfracellò ai piedi di quello che, oggi, è noto come Colle di Miserazzano.
IL PRETE EREMITA
Un’ultima leggenda, sempre ambientata alla Croara, parla di un prete eremita che abitava in una grotta sull’altopiano gessoso. Si era, anche in questo caso, all’epoca delle Crociate. Lungo un boscoso sentiero era stato costruito un oratorio in cui, i molti pellegrini che da lì passavano, avevano lasciato preziosi ex voto in gran numero. Il nostro eremita, una notte, sognò che il figlio di suo fratello, che si trovava a combattere i saraceni in Palestina, era stato catturato. Per la sua liberazione i suoi carcerieri avevano chiesto un notevole riscatto in oro ed argento. Il prete, non possedendo nulla, pensò di procurarsi quanto richiesto andando a rubare gli ex-voto dell’oratorio, poco lontano. Sentiva nel suo cuore, come se qualcuno lo invitasse a farlo (la Madonna). Poco tempo dopo il furto fu scoperto e in breve le indagini portarono gli inquirenti ad accusare il povero prete. Quando ormai stava per essere giustiziato in pubblico, dalla gente uscì una bellissima signora con veste candida e circondata da raggi luminosi. La pena fu sospesa e l’eremita, sceso a Bologna dedicò il resto della sua vita a reintegrare la somma da lui sottratta, mediante elemosine.
La tradizione popolare narra che, più di una volta, a chi si aggira nella zona dell’oratorio, può capitare di sentire una campanella suonata dal Prete Santo che si vede procedere curvo e con lo sguardo basso. Davanti a lui c’è l’immagine evanescente della Madonnina dei Boschi e, insieme, entrano nell’oratorio, oggi di aspetto settecentesco e fino a poco tempo fa protetto dalle chiome di una grande e vecchia quercia.
*Associazione Parco museale della Val di Zena – GSB/USB
www.parcomusealedellavaldizena.it