Il Parmigianino e la fine del Rinascimento

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Con l’incoronazione di Carlo V in San Petronio si apre la stagione del Barocco

di Gian Luigi Zucchini

San Rocco e un donatore – Pamigianino – Collezione San Petronio

Da qualche tempo si sono chiuse a Ferrara e a Bologna due importanti mostre, dedicate al Rinascimento nelle due città emiliane, movimento che ebbe esiti strepitosi nella pittura e cultura ferrarese (Rinascimento a Ferrara – Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa); e lo stesso sarebbe avvenuto anche a Bologna (e ne è stato esempio la quasi coeva mostra bolognese, intitolata  Giulio II e Raffaello. Una nuova stagione del Rinascimento) se il bellicoso papa Giulio II della Rovere  non avesse promosso, con l’aiuto di parte dell’aristocrazia bolognese, la fine della signoria dei Bentivoglio, che stava trasformando una città ferrigna e medioevale come Bologna in un centro di ampio respiro culturale ed artistico.

E proprio da queste mostre, e dalle numerose citazioni storiche in esse contenute, si deduce il grande mutamento avvenuto in queste ed in altre città italiane con il Rinascimento, e si ha nel tempo stesso la documentazione della sua decadenza e della sua fine, anche riflettendo sull’aspetto visivo, deducibile dalle numerose opere di pittura sparse in palazzi e chiese di quel periodo che va appunto dall’inizio del Quattrocento alla metà circa del Cinquecento.

Grandi fatti avvengono in questo scorcio di tempo: dalla Riforma luterana alla Controriforma cattolica, dall’emergere artistico e socio-economico di Firenze e dei Medici, soprattutto di Lorenzo ‘il Magnifico’  e della sua politica, alla scoperta dell’America, dalle guerre per la supremazia in Europa tra la Francia (con il re Francesco I di Valois) e la Spagna (con Carlo V d’Asburgo), al conseguente ‘sacco’ (o saccheggio) di Roma da parte dei Lanzichenecchi, in gran parte luterani, alla conseguente e devastante pestilenza che nella torrida estate di quell’anno (1527) portò via gran parte dei romani e degli stessi soldati invasori, oltre ad altri fatti meno rilevanti ma non per questo meno importanti, come la fuga da Roma – a causa del ‘sacco’ – di molti degli artisti che lì si trovavano per committenze avute dalla Santa Sede o da  famiglie aristocratiche. Alcuni di essi furono anche presi e imprigionati, come  il Rosso Fiorentino, o addirittura uccisi. Molti altri fuggirono: tra questi Francesco Mazzola, detto il Parmigianino (1503 -1540). Giovanissimo ancora (siamo nel 1527, e l’artista aveva 24 anni), pensa di riparare a Parma, ma si ferma a Bologna sia per riprendersi un po’ dalla fuga, sia per rimediare qualcosa prima di ritornare alla propria città natale.

E qui ha subito una committenza importante: una pala di grandi dimensioni per ringraziamento della fine dell’epidemia, che si trova nella basilica di San Petronio nell’VIII cappella a sinistra, e che rappresenta San Rocco e un committente, con un cane ai piedi del santo perché, secondo la tradizione, l’animale gli portava il cibo nel periodo di isolamento dovuto alla malattia.  Il santo è raffigurato in grandi dimensioni, e mostra la coscia destra dove si nota il bubbone della peste, da cui poi guarì e per questo era considerato protettore degli appestati. Oggetto di grande devozione per lunghi secoli, in particolare nei periodi di maggiore intensità del morbo, san Rocco è qui  dipinto con estrema eleganza formale, tipica di quello stile definito poi manierismo. Questa opera è però  connotata da una raffinatezza tutta particolare, personalissima dell’artista, che denota un mutamento di stile non soltanto artistico ma di idee, prefigurazione di quel rinnovamento pittorico e culturale rappresentato proprio qui a Bologna dai Carracci e dall’Accademia degli Incamminati, da essi fondata: un nuovo itinerario da percorrere nell’invenzione non soltanto artistica ma anche culturale intesa entro i vasti orizzonti della storia, che si rinnovava nella successione delle progettualità e delle esperienze.

Poco distante, nella XII cappella detta ‘delle Reliquie’, sulla parete di destra si trova una bella ‘Annunciazione’ dipinta nel 1560 dal veronese Domenico Rizzi, detto il Brusasorci, che  raffigurò in un affresco nel Palazzo Ridolfi di Verona il famoso corteo in cui il papa Clemente XII  incoronò   imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V, re di Spagna, nella basilica di san Petronio. In quella occasione Bologna, data l’importanza dell’evento, venne definita ‘caput mundi’, per la concomitante presenza di due sovrani il cui dominio si estendeva nelle diverse parti del mondo: uno, il Papa, capo della Chiesa Cattolica, cioè universale; l’altro, Carlo V, l’imperatore nel  cui impero ‘non tramontava mai il sole’, avendo la Spagna possedimenti in Europa e nelle Americhe.

Parmigianino | Autoritratto entro uno specchio convesso – 1524 –  Vienna, Kunsthistorisches Museum

Con questo evento si può dire che ebbe fine lo splendido e molto conflittuale periodo del Rinascimento e cominciava un’epoca nuova della storia: si apriva la straordinaria stagione del barocco, con la grande musica di Bach e di Händel, la folgorante pittura di Caravaggio, il teatro di William Shakespeare, le scienze di Galileo. E, in questo campo, anche Bologna continuava nella ricerca e nello studio, con Marcello Malpighi medico e biologo, e le più modeste ma tuttavia importanti produzioni musicali di Adriano Banchieri e di Giacomo Antonio Perti  con altri musicisti della Cappella Musicale di San Petronio, mentre in letteratura emergeva la popolare originalità di Giulio Cesare Croce con il suo Bertoldo.

L’addio al Rinascimento, diversamente da altri luoghi di furiosi conflitti e funeste carestie, a Bologna non poteva essere più fastoso e solenne di così, salutato nell’ultima importante presenza in campo politico dalla “grande cavalcata” di Carlo V imperatore e la costruzione del Palazzo dell’Archiginnasio, centro mondiale dell’Università e delle prime importanti ricerche scientifiche e culturali.

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