La Chiusa di San Ruffillo, teatro di lotte e scontri, è una delle più importanti opere idrauliche della città. Nel XIV secolo diede la spinta decisiva alla nascita dell’industria della seta
Francesco Nigro – Associazione Vitruvio
(articolo uscito sul numero dell’estate 2019)
“Qui presso, il 20 giugno 1361, il popolo Bolognese riscattando l’onta di chi lo aveva venduto a signoria forestiera, sconfisse l’esercito di Bernabò Visconti, riconquistando a Bologna dignità e autonomia sotto la sovranità papale ricomposta per l’alta opera politica del Cardinale Egidio Albornoz”.
Parole gloriose quelle che campeggiano in una lastra di marmo su una casupola in via Toscana, a pochi passi dalla briglia sul Torrente Savena. Parole che riportano ad una città ricca di storie e di grandi eventi, storie che spesso hanno l’acqua come cornice. Siamo in prossimità di una delle più importanti opere idrauliche della città, la Chiusa di San Ruffillo, teatro di lotte e scontri, minata durante la guerra e quindi ripristinata, con la sua derivazione storica che si distacca verso il centro cittadino. Il Canale di Savena: una grande opera attivata nel 1176, un anno di grande fervore per la cittadina di Bologna che si era avviata verso un rinnovamento urbano a seguito delle vittorie sul Barbarossa. Per prima cosa venne disposta la costruzione di una steccaia, realizzata più a valle dell’attuale chiusa, che avrebbe dirottato parte delle acque del torrente garantendo il funzionamento di diversi mulini.
Bisognerà aspettare gli anni venti del milleduecento per vedere la realizzazione di una chiusa in muratura, le cui acque avrebbero fatto ingresso in città presso la neonata porta Castiglione, alimentando i diversi mulini da granaglie, il fossato cittadino e prestandosi ai più disparati utilizzi civili. Il canale serviva prevalentemente l’area orientale della città, toccando luoghi iconici come via Rialto, Palazzo Pepoli con i suoi mitici (ma per nulla marinari) anelli, la via dei Pellacani (attuale via Petroni), e molte altre. Un canale con una miriade di diversivi, forte del suo ingresso a sud in una città inclinata da sud a nord. Non solo mugnai, in città. Tintori, cartolari, coltellai, conciatori: tutti avrebbero avuto la loro acqua.
Proprio sulle acque di questo canale, nel 1341, in via Castellata, a ridosso della “Cerchia del Mille”, sarebbe nato il primo mulino da seta di una città che avrebbe fatto di questo tessuto arte ed industria. Il comune di Bologna si stava distinguendo per l’oculatezza delle sue scelte, intere famiglie di abili artigiani venivano incoraggiate a lasciare i luoghi natii per trovare un nuovo tetto a Bologna. Nella prima metà del duecento furono soprattutto i lanaioli ad approfittare della agevolazioni del Comune e delle belle acque del Savena, quindi fu la volta degli artigiani specializzati nella lavorazione della seta, in maggioranza di origini Lucchesi. Complice un quadro politico complesso, molti mercanti e tessitori lucchesi giunsero a Bologna e con loro una tecnica innovativa nella produzione serica, che a bologna trovò nell’abilità idraulica locale la giusta evoluzione, un’automazione dei sistemi produttivi. Il complesso torcitoio alla lucchese era ora mosso da ruote idrauliche a cassettoni inglobate negli scantinati delle case percorse da un dedalo di canalette.
Una città che si apprestava a diventare un centro protoindustriale unico nel suo genere, ben prima di qualsiasi “rivoluzione Industriale” ammirato, invidiato, spiato. Nei primi anni dei seicento il numero di mulini da seta a Bologna superava il centinaio, mosso dalle acque di Canale di Reno e Savena. Difficile quindi immaginarlo, ma quella canaletta spesso secca, che taglia il Parco dei Giardini Margherita per poi entrare in città e cedere parte della sua acqua ad Aposa e disperdere il resto nell’artificioso reticolo cittadino sotterraneo, ha rappresentato per Bologna un’occasione unica di svolta, un’occasione che la città non si è lasciata sfuggire.