Sono una dozzina i branchi di lupi che si sono stabiliti sui monti e nei boschi della provincia di Bologna. Da dove vengono? Da quanto mancavano? Che pericoli si portano dietro? Lo spiega Ettore Randi, ricercatore dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale di Ozzano
di Filippo Benni
(pubblicato sul numero dell’inverno 2011)
Un animale sociale, che vive in branchi organizzati gerarchicamente. Con sistemi di comunicazione complessi e precisi. Come in una famiglia, ognuno ha il proprio ruolo: c’è chi si deve riprodurre chi deve curare lo svezzamento e chi l’addestramento dei cuccioli. Un animale schivo, ma estremamente adattabile che nel tempo si è abituato a vivere anche a contatto con l’uomo. È il lupo italiano che da una ventina d’anni ha ripreso possesso dei boschi e delle valli bolognesi. Un problema in più per gli allevatori del nostro Appennino ma anche un chiaro indicatore della elevata qualità ambientale del territorio in cui viviamo.
Dottor Randi, quanti sono i lupi presenti nella nostra provincia?
Questa è una valutazione che richiede una premessa. La popolazione di lupi non è stabile nel corso dell’anno. I lupi sono organizzati in branchi ed ognuno occupa un territorio ben delimitato. Chiuso. Che può ospitare un maschio e una femmina dominate e nessun’altra unità riproduttiva. Quando si insediano, generalmente d’inverno, i branchi sono formati in media da 4 lupi: i dominanti e due esemplari giovani. Verso maggio, quando avvengono i parti, la popolazione raddoppia arrivando a 6-8 esemplari per branco. Durante l’estate e l’autunno i cuccioli crescono ed inizia la fase della mortalità infantile che, come in tutti i carnivori, incide pesantemente sulla popolazione, che così diminuisce di nuovo. Quando compiono un anno, i cuccioli vanno in dispersione cerando di formare altri branchi su territori liberi. Anche in questa fase la mortalità è elevata: i giovani lupi si spostano anche di centinaia di chilometri, incontrando mille difficoltà e senza la protezione del branco. Spesso finiscono sotto le macchine, nelle trappole o mangiano bocconi avvelenati, magari lasciati non per loro. Per stimare la popolazione presente in provincia dobbiamo quindi ragionare in termini di branchi stabili, che sui nostri monti sono otto. Ai quali vanno aggiunti altri due o tre branchi di cui però non abbiamo certezza scientifica. In media, ogni branco stabile è formato da quattro lupi quindi si può dire che sul nostro territorio ci sono, stabilmente, dai 30 ai 50 lupi.
Quali sono le aree in cui si sono insediati stabilmente
L’area occupata da un branco va dai 70 ai 140 chilometri quadrati dentro i quali non sono ammessi altri lupi dominanti. Si insediano dove trovano sia aree per la caccia (mangiano soprattutto piccoli ungulati) e aree riparate per la riproduzione. Oggi possiamo dire che la parte montana della nostra provincia è già tutta occupata, dalle aree di crinale fino ai Gessi Bolognesi, alle porte della città. Ma nelle zone più antropizzate, quelle più a valle, sono meno stabili. Le otto zone dove i branchi si sono stabiliti ormai da anni sono Monte Sole, Monte Vigese, il Corno alle Scale, il Brasimone, i Gessi, Paderno e Marradi, al confine con la Toscana, e l’Alto Savena, anche se in questa zona, nonostante uscite quotidiane dei nostri collaboratori, quest’anno non sono ancora stati osservati.
Come viene stimato il numero?
Contare lupi è difficile. Oggi si riescono a vedere, ma non in maniera sufficiente per un censimento. Il metodo più scientifico e sicuro per determinarne il numero è quello dell’identificazione genetica. I nostri tecnici raccolgono campioni biologici (in genere le fatte) sfruttando il loro comportamento di marcatura territoriale: lasciano abbondanti tracce e ben visibili. Da questi si estrae il Dna e così si identificano i lupi attraverso la loro impronta genetica, che è unica per ciascun individuo. Per prima cosa identifichiamo il loro territorio di appartenenza, anche con altre tecniche di osservazione sul campo, poi seguiamo i loro percorsi. In media, in un anno troviamo tracce di circa 70 individui diversi, che comprendono le coppie in riproduzione e i cuccioli. Poi la dispersione e la mortalità infantile ne fanno di nuovo diminuire il numero.
Di cosa si nutrono?
Principalmente di piccoli ungulati. Ma non sono in grado di bloccarne l’espansione e non sottraggono prede alla caccia, se non in misura molto limitata.
Secondo le denuncie di predazioni arrivate alla Provincia risulta che nel corso del 2011 abbiano attaccato e uccisi, oltre a decine di capre e pecore, anche un mucca e un cavallo. Ma è possibile?
Se la preda è isolata, vecchia o malata, un branco di lupi, che quando caccia è estremamente organizzato, può uccidere anche grandi ungulati, cavalli o mucche. Anche se questi sono casi più unici che rari e da verificare bene. Se un animale muore e viene lasciato all’aperto, per esempio, i lupi possono arrivare e mangiarlo. Ma ripeto, bisogna sempre fare la tara alle denunce: servono verifiche serie da parte dei veterinari dell’Ausl che devono essere messi in grado di identificare sul campo la predazione.
Da quanto tempo erano spariti e quando sono tornati?
In Italia, negli anni Sessanta erano presenti solo in Abruzzo e nel Pollino, tra Calabria e Basilicata. Da quelle zone è partita l’espansione verso nord, lungo la dorsale appenninica. I primi avvistamenti in queste zone risalgono alla fine degli anni Settanta, ma senza documenti scientifici a supporto. Potevano essere soggetti di passaggio o in dispersione. La prima carcassa di lupo che abbiamo rinvenuto risale all’otto marzo 1990. Era una femmina, trovata a Lizzano in Belvedere. In questi vent’anni i branchi si sono stabiliti, da sud verso nord e dal crinale alla collina, in tutta la provincia.
Quali le cause di questo ritorno?
Principalmente tre. La prima è l’industrializzazione del secondo Dopoguerra e il conseguente abbandono, in tutto il Paese, delle montagne. In cinquant’anni la superficie delle foreste italiane è quasi raddoppiata, determinando la ricomparsa degli uguali: la seconda causa del ritorno del lupo. Prima della guerra, per la pressione venatoria e il taglio dei boschi, cinghiali, caprioli e cervi erano quasi estinti. Adesso che le prede sono tornate, è tornato anche il lupo. Poi ci ha messo lo zampino anche la legge: dal 1976 il lupo è specie protetta mentre prima era considerata specie nociva. C’erano addirittura le taglie per la cattura, e si stima che tra il 60′ e il 70′ ne siano stati uccisi oltre 600 esemplari. Qualche episodio di bracconaggio c’è ancora, ma molto limitato.
Soprattutto in montagna, c’è la convinzione che questo ritorno sia stato “pilotato”, con lanci e allevamenti. È possibile?
Posso garantire che il ripopolamento è del tutto naturale. Primo, perché i lupi in cattività sono pochissimi, e tra questi nessuno è italiano. In qualche Parco si possono trovare alcuni esemplari siberiani, canadesi e ibridi ma nessun esemplare del lupo appenninico. La genetica ci dice invece che gli esemplari presenti da noi sono genotipi inconfondibili del lupo italiano, identici a quelli della popolazione di lupi presenti in Abruzzo e Campania.
Ma i lupi si possono imbrancare con i cani?
C’è qualche filmato di cani e lupi che stanno assieme, ma è molto difficile. Se i cani entrano nel territorio del branco, è facile che vengano mangiati. Ma nella fase di dispersione, può succedere che esemplari giovani si uniscano a cani vaganti e si riproducano. Gli ibridi vengono comunque identificati dallo studio genetico delle fatte: sul nostro territorio ne sono state trovate poche unità.
È convinzione generale che il lupo non si faccia vedere dall’uomo, che lo eviti accuratamente. Ultimamente invece gli avvistamenti sono molto frequenti, questo può far pensare che non siano effettivamente lupi ma solamente cani o ibridi…
Ribadisco che sono lupi, anche se la facilità con cui si mostrano è una novità anche per noi. Il motivo è che negli ultimi anni sono talmente aumentati che è facile avvistarli. Ormai si sono stabiliti anche in aree abitate. Non ci sono cambiamenti di comportamento, ma è una specie molto adattabile ed intelligente. Con il divieto della caccia, dopo secoli di persecuzione, hanno acquisito molta più confidenza nei confronti dell’uomo.