IL GUERCINO

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Nato a Cento nel 1591, verso la metà del Seicento si trasferì a Bologna. Nel laboratorio di via Sant’Alò ricevette la visita anche della regina Cristina di Svezia che volle conoscere l’artista la cui fama aveva raggiunto anche le lontane terre del nord. Nel 1666 fu sepolto nella chiesa di San Salvatore

di Gian Luigi Zucchini

Giovanni Francesco Barbieri, detto Guercino per via di una malformazione all’occhio destro, nacque nel 1591 a Cento, oggi in provincia di Ferrara, ed allora, come ancor oggi, parte della diocesi di Bologna. Fin da bambino dimostrò spiccatissime doti per il disegno, che realizzava ovunque fosse possibile osservando minuziosamente la realtà nei suoi aspetti formali ma anche volumetrici mediante l’attenta analisi delle ombre e delle luci. Un esempio di questa precoce abilità la si può vedere, nella mostra citata, osservando la raffigurazione della Madonna della Ghiara, realizzata sul muro della casa paterna ad appena otto anni.

La mostra a Cento 
e altri capolavori

La mostra ‘Emozione barocca. Il Guercino a Cento’ si apre con una prima sezione presso la Pinacoteca San Lorenzo a Canto, per continuare e concludersi poi alla Rocca.
Orari: Martedì – domenica 10-13 / 15 – 19. Lunedì chiuso.
Catalogo edito da Silvana editoriale
Info: 051 6843334 / 051 6843398 
informaturismo@comune.cento.fe.it

La grande mostra sul Guercino a Cento (27 dipinti, 32 affreschi e 20 disegni ed altre importanti opere del Seicento emiliano, tra cui Ludovico Carracci, Carlo Bononi e lo Scarsellino; aperta fino al 15 febbraio 2020), è importante per diversi aspetti: innanzitutto, perché vengono esposte tutte le tele che non erano più visibili dopo il terremoto del 2012; poi per la presentazione di numerosi disegni, necessari per conoscere l’evoluzione stilistica dell’artista; infine perché l’omaggio che la città di Cento rende al suo figlio più illustre coinvolge anche la città di Bologna e gran parte dell’Emilia padana, dove si trovano molte opere del pittore e della sua scuola.
A Bologna infatti suoi dipinti sono visibili in diversi luoghi, e soprattutto in molte chiese della città, per cui ci pare utile offrire qui l’elenco: Cassa di Risparmio, San Pietro piangente, 1650 – Chiesa di San Domenico, San Tommaso scrive l’inno del SS Sacramento,1662 – Chiesa di San Paolo, San Gregorio indica a Cristo le anime del Purgatorio, 1646-1647 – Chiesa di Santa Maria in Galliera, La visione di san Filippo Neri,1646-1662 – Collezione Lauro, San Giuseppe col Bambino Gesù, 1633 – Collezione privata, Ercole, ca 1642 – Convento delle Carmelitane Scalze, Santa Teresa riceve il collare, 1660-1661
Unicredit, Cristo orante nell’orto di Getsemani, ca 1614; La Trinità, ca 1617; Lucrezia, 1644 – Oratorio di San Rocco, San Rocco gettato in prigione, affresco, 1618 – Palazzo Sampieri-Talon, Ercole e Anteo, affresco, 1631 – Chiesa di San Giovanni in Monte, San Francesco, 1645. Infine, nella Pinacoteca di Bologna, troviamo un’importante sintesi della sua attività pittorica, tra cui alcuni veri e propri capolavori. San Pietro Martire,1647; San Giuseppe, 1648-1649; La visione di san Bruno, 1647; Vestizione di san Guglielmo, 1620; San Giovanni Battista, 1644; La Maddalena nel deserto, 1652-1655; San Paolo Eremita, 1652-1655; San Sebastiano curato da Sant’Irene, 1619; Il Padre Eterno, 1646; Crocifisso con san Pietro Martire e un angelo, 1660. La Madonna del Passero, ca 1616; Studio di donna con putto, 1619.

Paesaggio con donne bagnanti, ca 1618

Poi, tra il 1615 e il 1616, tra altri lavori, affrescò le pareti di alcune stanze nella casa Pannini (oggi Gallerani) a Cento, con scene ed episodi della vita contadina dell’epoca: dalla macerazione della canapa, al lavoro dei campi, ai paesaggi campestri e fluviali, tanto da offrire, anche a noi oggi, uno spaccato importante del lavoro contadino dell’epoca. Ma non solo: siamo colpiti ancora, vedendo questi piccoli capolavori, dal paesaggio e dalle luci, che in queste ed altre opere successive, anche sacre, testimoniano il legame affettivo e visivo tra l’artista e la sua terra, soprattutto in quei cieli afosi, densi di colori caldi, tra il rosso cupo e l’azzurro in cui l’umidità, presente anche d’estate, avvolge di un soffice spessore le forme, i paesaggi, le lontananze spesso accennate tra fumi di luce che si dissolvono poi tra nubi e vapori leggeri.

La visione di san Bruno, Bologna, Pinacoteca, 1647

Ebbe vita operosissima e intensa, lavorando dapprima da solo, poi con un numero sempre maggiore di allievi e aiutanti, ed eseguendo commissioni per chiese, conventi, cardinali, aristocratici; ed inoltre ebbe richieste provenienti da ogni parte d’Europa, tra cui la regina di Francia, il duca di Modena, il re d’Inghilterra, il papa; e, tra i tanti altri, il duca di Mantova Ferdinando Gonzaga. Per quest’ultimo, eseguì l’opera Erminia nella dimora del vecchio pastore, generosamente retribuita dallo stesso Duca; e fu disponibile pure per il vescovo di Piacenza, il quale, nel 1626, gli offrì ben 1.900 scudi d’argento per completare il grande affresco della cupola del Duomo, che il Morazzone, morendo in quello stesso anno, aveva lasciato largamente incompleto.

Dopo vari viaggi e periodi anche piuttosto lunghi trascorsi in diverse capitali di corti italiane (Roma, Ferrara; Venezia, Modena, Piacenza, ecc.), si stabilisce nel 1642 a Bologna, pochi mesi dopo la morte di Giudo Reni.
Il grande maestro pareva aver lasciato un grande vuoto nella città; Guercino si sentì in dovere di riempirlo, continuando una tradizione di ampie prospettive nel futuro dell’arte, strada magistralmente aperta già dai Carracci – ed in particolare da Annibale – con l’Accademia degli ‘Incamminati’, poi continuata dal Reni e dallo stesso Guercino, oltre che da altri meno noti ma pure importanti artisti bolognesi-emiliani, tanto da creare una vera e propria strategia innovativa che verrà poi definita ‘Scuola bolognese del Seicento emiliano’, grande momento dell’intero Seicento europeo.

A Bologna il pittore si stabilisce in via Sant’Alò, 3, in pieno centro storico, in una casa ancor oggi esistente, che una lapide segnala ai passanti: Lì passò gli ultimi anni della sua vita, lavorando indefessamente ed acquistando pure un vicino locale, data la mole notevole del lavoro e i molti allievi e collaboratori che operavano in questa vera e propria officina artistica. Lì, nel 1655, ricevette la visita della regina Cristina di Svezia, che volle conoscere l’artista la cui fama aveva raggiunto anche le lontane terre del nord, e lì morì il 22 dicembre 1666.

“Esempio mirabile di elette virtù religiose e civili, di straordinario talento artistico, raccoglie completa la stima e l’affetto dei suoi concittadini che, unanimemente lo compiangono” scrive il professor Guido Vancini.
Fu sepolto nella chiesa di San Salvatore a Bologna, accanto al fratello Paolo Antonio, che in silenzio aveva collaborato con lui lungo tutta la vita e che era stato da lui molto apprezzato e amato. Fu artista di grande nobiltà umana e di perfezione sia nel lavoro che nella vita; di lui scrisse il canonico Cesare Malvasia: “Non lasciò mai opera veruna imperfetta”

 

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