Il film “Rapito” di Marco Bellocchio ha riportato agli onori della cronaca il “ratto del fanciullo” al centro anche di una mostra all’Archiginnasio
Di Claudio Evangelisti
Bologna ricorda l’incredibile vicenda di Edgardo Mortara con una mostra documentaria all’Archiginnasio dal titolo: “Il ratto del fanciullo”. Il primo a riaccendere i riflettori su questo inconcepibile (ai giorni nostri) rapimento di un bambino ebreo su ordine del Papa Pio IX, avvenuto a Bologna nel periodo risorgimentale, fu lo storico David Kertzer con il libro “Prigioniero del Papa re” che nel 2016 suscitò l’interesse del pluripremiato cineasta Steven Spielberg.
Ora invece il merito della riscoperta di questo famigerato avvenimento che all’epoca suscitò un grande eco internazionale, è da attribuirsi al cineasta Marco Bellocchio che a Cannes 2023 ha presentato il film “Rapito”. I fatti si svolsero nel 1858 pochi anni prima dell’unificazione d’Italia, al tempo in cui Bologna fa ancora parte degli Stati della Chiesa ed è la seconda città dello stato pontificio. In questo periodo la città è guidata da due ecclesiastici: l’arcivescovo, per le questioni religiose e spirituali, e il cardinale legato, che rappresenta il Papa. Il regime si reggeva grazie al puntello delle truppe asburgiche. Se mezzo secolo prima, con l’arrivo di Napoleone nel 1976, furono abolite le norme discriminatorie verso gli ebrei, la restaurazione del governo pontificio riportò in vigore le vessazioni per quelli che rimasero a Bologna, più tollerati che accettati. Ai circa 300 ebrei rimasti era inoltre proibito avere domestici cristiani, anche se il divieto era in larga parte disatteso e non solo perché la manodopera cristiana era molto più numerosa. Non stupisce quindi che nella comunità ebraica fossero diffuse le simpatie verso le idee risorgimentali e che alla battaglia della Montagnola dell’agosto del 1848 parteciparono diversi ebrei. Dopo il 1849 la condizione degli ebrei dello Stato pontificio peggiorarono ulteriormente e le pressioni per favorire le conversioni si moltiplicarono.
È in questo clima si inserisce la vicenda di Edgardo Mortara. Gli ultimi arrivati dalle provincie emiliane, sull’onda delle riforme Napoleoniche, risiedevano nella zona di Piazza Malpighi e Lame, tra questi la numerosa famiglia dei Mortara, commercianti provenienti da Modena. Salomone Momolo Mortara e la moglie Marianna Padovani crescevano i loro otto figli nella Bologna dell’800, ma la loro serenità venne distrutta la sera del 23 giugno 1858 quando due gendarmi si presentarono all’improvviso in via delle Lame, per avvertirli che il rappresentante del Sant’Uffizio nella città, l’inquisitore Pier Gaetano Feletti, frate domenicano, aveva dato ordine di portare via dalla famiglia il figlio Edgardo (sesto di otto ), che aveva sei anni. Per conoscere le motivazioni di quello che oggi definiremmo rapimento, dobbiamo viaggiare a ritroso nella vita del piccolo Mortara, tornando all’antefatto avvenuto quattro anni prima nell’agosto del 1851, quando una domestica di nome Anna (Nina) Morisi andò a vivere a casa loro per prendersi cura dei bambini
Il battesimo segreto
Edgardo Mortara aveva 17 mesi di vita quando si ammalò di Neurite, una malattia che lo “ridusse all’estremo”, in una condizione talmente grave da portare la balia a compiere un gesto disperato. La Morisi era una giovane, di circa vent’anni, cristiana cattolica, una donna devota al punto tale d’aver paura che il bambino, molto vicino alla morte, finisse nel Limbo, girone dell’inferno in cui finiscono coloro i quali non hanno ricevuto il battesimo. Fu così che la “Nina” temendo che morisse, battezzò segretamente il piccolo Edgardo, provvedendo lei stessa a somministrargli il sacramento all’insaputa dei genitori. Ella, comunque, ravvedendosi della condizione del piccolo, che col passare dei giorni migliorò fino a guarire completamente, tenne segreto l’episodio per anni. All’epoca dei fatti il suddetto sacramento, seppur attuato da una domestica e non da un funzionario ecclesiastico, era comunque considerato dalla chiesa come un “contratto vincolante”.
Il “peccato” commesso dalla domestica, venne a galla verso la fine del 1857, anno in cui anche il piccolo Aristide, figlio minore dei Mortara, si ammalò gravemente. Un’amica della Morisi le suggerì di battezzarlo, prima che questi spirasse, ma la donna, ricordando il battesimo fatto su Edgardo, che però sopravvisse, non volle ripetere l’errore e si rifiutò. Fu allora che, giustificandosi per la sua reticenza, il segreto venne a galla. E non ci volle molto tempo affinché arrivasse alle orecchie di Padre Pier Feletti, Inquisitore di Bologna, il quale dispose, con il benestare di Papa Pio IX, il rapimento di Edgardo Mortara. La disperazione della famiglia e l’intervento della comunità ebraica di Bologna fece slittare di un giorno, un solo giorno, l’esecuzione dell’ordine. Il 24 giugno Edgardo fu portato via dai gendarmi e spedito a Roma, ospite nella Casa dei catecumeni “per ricevere finalmente l’educazione cristiana che, secondo la Chiesa, gli spettava”.
Le reazioni internazionali
Benché avvenuto in una città decaduta e ormai provinciale, il cosiddetto “caso Mortara” diffuse in Italia e all’estero l’immagine di uno Stato Pontificio anacronistico e irrispettoso dei diritti umani nell’età del liberalismo e del razionalismo. La vicenda assunse così un rilievo internazionale e divenne terreno per un confronto religioso, politico e giuridico fra paesi che avevano enormi differenze sui temi della libertà religiosa e dei diritti dei cittadini. Diversamente da altri drammi analoghi, il ‘caso Mortara’ ebbe enorme eco in tutta Europa, e perfino negli Stati Uniti d’America: nel solo mese di dicembre 1958, sul New York Times apparvero almeno 20 articoli su quello che era ormai diventato uno scandalo internazionale.
Il caso del “bambino ebreo rapito dal Papa” coincise con il momento esatto in cui il processo di unificazione dell’Italia e la crisi dello Stato pontificio portavano in primo piano la questione della separazione tra Stato e Chiesa e costituì per Cavour e il partito liberale un elemento prezioso per influenzare, tramite la pressione dell’opinione pubblica francese, l’alleato Napoleone III che fino a quel momento aveva sostenuto con le sue truppe il traballante potere papale, contribuendo a persuadere l’opinione pubblica in Francia e in Gran Bretagna sull’opportunità di permettere ai Savoia di muovere guerra allo Stato Pontificio. Poco dopo, nel 1860, con la sconfitta dell’esercito pontificio ad opera dei Piemontesi, l’inquisitore Padre Feletti fu arrestato dalle guardie sabaude, e in quell’occasione confessò che l’ordine fosse partito da Roma per proteggere il bambino, poiché esisteva il timore che i Mortara, venendo a sapere del battesimo, uccidessero il piccolo. Grazie alla testimonianza, Feletti venne assolto. La chiesa si dichiarò legittimata a compiere il prelievo del bambino, prendendo in causa uno dei precetti del Corpus iuris canonici, risalente al IV Concilio di Toledo del 633, che legiferava il dovere della chiesa di sottrarre alle famiglie non cristiane i bambini, così detti, “oblati” cioè offerti alla chiesa a seguito del sacramento, benché invitis parentibus, ovvero contro la volontà dei genitori. Questa fu una regola molto discussa nei secoli dai Papi che si susseguirono, chi ne fu a favore, chi contrario, fino alla bolla Apostolicum Pascendi emanata da Clemente XIII nel 1765, in cui il Papa vietò a chiunque non fosse un neofita di eseguire consacrazioni, minacciando gravi ripercussioni per chi si fosse macchiato del crimine e asserendo che quel tipo di battesimo fosse nullo, perciò non riconosciuto dalla chiesa in nessun caso. Ma, un centinaio di anni dopo, Leone XII ripristinò l’editto, dando così il via ad una catena di rapimenti di bambini, per lo più ebrei, battezzati in seno alla chiesa di Roma e strappati alle loro famiglie.