I misteri di Villa Clara

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Nel Seicento era un prestigioso circolo artistico frequentato anche da Michelangelo Colonna e Francesco Caracci. Di proprietà del Conte Carlo Cesare Malvasia, nel corso dei secoli è stata al centro di lucci, processi, scandali e strani accadimenti

di Claudio Evangelisti

(articolo pubblicato nel numero uscito nella primavera 2016)

Carlo Cesare Malvasia

E’ un filo sottile e affascinante quello che lega l’enigma di Villa Malvasia al suo prestigioso proprietario: il Conte Carlo Cesare Malvasia nato a Bologna nel 1616. Il conte Malvasia e la sua casata dedita alle arti e scienze, tra cui l’Astrologia e i fenomeni magnetici terrestri, forniscono una chiave di lettura diversa rispetto ai presunti eventi misteriosi accaduti a Villa Malvasia, meglio conosciuta con il nome di Villa Clara. In origine, l’edificio seicentesco, fu “Casino di caccia del Trebbo”, proprio perché sorto in prossimità dell’omonima frazione bolognese, all’epoca corrispondente al civico n. 581 di Via delle Lame e successivamente diventato il n. 449 di Via Zanardi. In questa villa di campagna, di quelle che venivano appunto definite “casini di delizie”, spesso vi si tenevano riunioni tra i più noti intellettuali bolognesi, non ultimi gli Accademici Gelati “che nel seicento furono famosi a Bologna. Si faceva musica, poesia, si discuteva d’arte particolarmente dopo ricchi pranzi. Erano conviti d’intellettualità, di quella intellettualità seicentesca pletorica e acuta”.

PALAZZO MALVASIA

Alcuni dei preziosi dipinti che sono contenuti in Villa Chiara

Palazzo Malvasia, circondato da imponenti mura merlate era ricco di splendidi affreschi con paesaggi e scene di genere, di fregi, di soffitti dipinti, di camini dalle cappe istoriate. Gli affreschi del 1624 appartengono a insigni pittori tra cui spiccano Michelangelo Colonna, Francesco Caracci e il Dentone. Ma sembra che anche lo stesso Malvasia dipinse alcune scene. Come anticipato, prima di parlare dei misteri della Villa, occorre descrivere chi fu il conte e canonico Carlo Cesare Malvasia: fu celebre storiografo d’arte e scrittore vissuto tra il 1611 e il 1693, autore della fondamentale Felsìna Pittrice, ovvero di una vera e propria guida della storia dell’arte e degli artisti bolognesi, che terminò nel 1679 e che volle dedicare al Re Sole, il quale ricambiò con un dono favoloso: una miniatura del suo ritratto regale in smalto con doppio giro di diamanti, attualmente conservato nella chiesa di Santa Maria della Vita a Bologna. A rendere intrigante la figura del Conte, oltre ad essere stato lo scopritore della sfortunata e famosa pittrice Elisabetta Sirani, fu il suo coinvolgimento nella tragica e misteriosa morte per avvelenamento della celebre artista, avvenuta in giovane età nel 1665 e alla quale seguì un famoso processo che coinvolse il Conte Malvasia come testimone e accusatore della povera domestica della famiglia Sirani, che fu incarcerata e torturata, ma che risultò poi innocente. Sempre lui nel 1683, pubblicò a Bologna: l’Aelia Laelia Crispis non nata resurgens in expositione legali nella quale il Malvasia proponeva lo scioglimento del più celebre enigma bolognese contenuto nella cinquecentesca Pietra di Bologna, misteriosa lapide funeraria appartenuta al senatore Achille Volta e attualmente conservata al Museo civico medievale di Bologna. L’indovinello contenuto nel testo di quella antica iscrizione, fu concepito in quel clima da cenacolo umanistico, vicino al mistero e all’esoterismo.

Il gioiello regato dal Re Sole al Conte Malvasia lasciato poi in eredità all’Arciconfraternita di Santa Maria della Vita, con l’obbligo di esporlo ogni anno il decimo giorno di settembre

Nella Villa del Trebbo, la casata dei Malvasia divenne famosa nei salotti bolognesi anche per alcuni suoi componenti che si interessarono agli studi astronomici e astrologici, oltre al vivido interesse per la meteorologia e la sismologia, riconosciuti anche come inventori di macchinari destinati al loro studio. Cornelio Malvasia (1603-1664), cugino di Carlo, fu un brillante astronomo, mentre successivamente lo scienziato Antonio Galeazzo (1819-1884)  dimostrò un fervido interesse per le alterazioni magnetiche in coincidenza con fenomeni sismici. Partendo da questo affascinante contesto, passiamo ai molteplici misteri di Palazzo Malvasia e ai collegamenti su questa dinastia che abitò la Villa almeno fino alla fine del 1800. Tra fantasmi e fenomeni magnetici, due sono gli enigmi di cui tratteremo: la leggenda sull’atroce fine della figlia del proprietario e come per una strana coincidenza con l’enigmatica lapide funeraria precedente, indagheremo sull’arcano che si cela dietro la lapide commemorativa posta nel 1862 all’interno della Villa e in cui viene citato Pio IX.

LA LAPIDE MISTERIOSA

Dopo alcuni lavori di consolidamento, gli operai percepirono strani ed inspiegabili campi magnetici che pregiudicavano il funzionamento di apparecchi elettrici e in seguito ad altri eventi, i tecnici dell’Istituto italiano per le ricerche del paranormale hanno compiuto delle rilevazioni sulla lapide. Nella traduzione dal latino si legge:

Questo è il santuario che Pio IX, pontefice massimo, permise che da privato divenisse pubblico. Petronio Malvasia, compagno e cavaliere, fornì il dipinto, per mano di Antonila Massaria, per il culto di Maria, nostra signora. La nuora lo dedicò nell’anno 1862”.  Nel testo si parla del dipinto di un santuario che in origine era collocato nella nicchia sotto l’iscrizione e che fu poi rimosso, ma non è stato possibile risalire né dove fosse situato il santuario, né all’autore (o autrice) Antonila Massaria. Col tempo sono nate strane storie su questa lapide, motivate anche dal fatto che quasi tutte le foto che la ritraevano non sono venute. A disturbare le foto sembra che sia l’inspiegabile carica magnetica proveniente da questa lapide che agli strumenti dei tecnici ha fatto registrare la sua massima intensità proprio al centro dell’iscrizione. è stato controllato se all’interno del muro vi fossero cavi elettrici passanti, ma l’esito è stato negativo. Nonostante al tatto, la lapide risultasse più fredda rispetto al muro, ne è stata rilevata la temperatura agli infrarossi che segna 20° costanti mentre tutto il resto del muro e dell’ambiente non supera i 15 gradi. Il fenomeno è rimasto inspiegabile, se nel muro non vi è nulla si può solo ipotizzare che la pietra stessa, usata per la lapide, sia caricata magneticamente.

IL FANTASMA DI CLARA

Si narra che la giovanissima fanciulla, quasi una bambina, fosse la figliastra del padrone di casa, tale nobiluomo Alessandri. Costui, sorpresa Clara ad amoreggiare con un suo sottoposto, si considerò disonorato e la costrinse in casa per sempre, murata viva. La poverina non trovò mai pace per questa ingiusta e tragica condanna e, alla sua morte, si sarebbe trasformata in un fantasma che ancora oggi si aggirerebbe nella villa piangendo e lamentandosi. Altre voci parlano della stessa bambina dotata di poteri paranormali e per questo motivo, fatta murare viva da suo padre, terrorizzato dai poteri di chiaroveggenza della piccola, che indovinava fatti che sarebbero accaduti a breve. In realtà, Clara è il nome di una delle ultime proprietarie della villa e nulla della sua vita riconduce alla leggenda. Infatti dopo i Malvasia, la villa subì diversi passaggi di proprietà e nel 1928 fu acquistata da una certa Clara Mazzetti vedova Barzaghi, alla quale probabilmente si deve il nuovo nome attribuito alla Villa, diventata, appunto, “Villa Clara” come recitano i piloni di accesso. Al termine della seconda guerra mondiale fu anche alloggio per sfollati. In tempi recenti è stata anche teatro di eventi luttuosi: infatti nel 1999 un bambino, mentre si calava dalla botola del passaggio segreto, è morto in seguito ad una caduta di circa due metri.

Come racconta Il signor Finelli proprietario dell’area confinante, quello che viene definito il nobiluomo Alessandri, padre della “sventurata Clara”, altro non era che un facoltoso proprietario di numerosi edifici tra cui Villa Malvasia ormai abbandonata e ricorda che dopo la tragica vicenda del bambino caduto nella botola segreta, si mise a guardia dell’entrata con un Fiat 850 cassonato, vestito da barbone per spaventare i ragazzini in cerca di avventure, dicendo che era il custode della villa. Poi, ad aumentare le più fervide fantasie, possiamo anche annotare che a pochi metri di distanza esisteva un convento di suore che tutt’ora fa parte della possessione denominata Spiriti. Il convento fu poi ristrutturato e gli attuali proprietari sostengono che da lì partiva un tunnel comunicante con la Villa Malvasia, ma il signor Finelli lo esclude. Ai giorni nostri a ricordare il Conte Malvasia, è ancora in uso un suo prezioso lascito. Nel suo testamento il Malvasia lasciava il gioiello largitogli da Luigi XIV (“la cosa più preziosa che io abbia in questo mondo”), all’Arciconfraternita di S. Maria della Vita, con l’obbligo di esporlo ogni anno il decimo giorno di settembre e nelle ricorrenze solenni.

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