DINO BALLACCI – Il terzino con la pistola

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Originario di San Donato, ha 300 presenze in rossoblù. Difensore ruvido e roccioso, non sopportava la Juve e attaccò al muro anche un giovane Luciano Moggi. Epiche le sue trattative con il presidente Renato Dall’Ara

Claudio Evangliesti
(articolo pubblicato nel numero uscito nell’estate 2019
Le Foto provengono dall’Archivio Bertozzi e di Siamo Bologna)

“Avevo l’abitudine che quando volevo la palla tiravo via tutto quello che c’era intorno”
Così raccontava l’ormai anziano Ballacci al cronista che lo intervistava durante una partita del Bologna al Comunale.

Dino Ballacci era l’arcigno terzino rossoblù, classe 1924, che negli anni Cinquanta fu lo spauracchio di Boniperti. Era un cinno di San Donato che aveva iniziato a tirare i primi calci all’oratorio di Sant’Egidio. Prima dell’inizio della guerra, Biavati e Sansone lo notarono e lo portarono nelle giovanili del Bologna. Ma l’arrivo del secondo conflitto mondiale lo portò in Friuli.

Dopo l’8 settembre 1943 Dino fu rastrellato ad Aviano. Sembrava giunta la sua ora, ma riuscì a scappare in montagna dopo aver ucciso il suo carceriere tedesco. Raggiunse la foresta del Cansiglio, dove si avvicinò ai partigiani garibaldini delle brigate Nannetti, assieme a molti altri bolognesi. La sua brigata operava tra Pordenone, Belluno e Treviso, una zona decisiva per la lotta partigiana. Come nome di battaglia scelse “Krauss”, il nome del carceriere tedesco che aveva fatto fuori per riuscire a fuggire. Nella primavera del ’44 si arruolò nella quinta brigata Osoppo comandata da Pietro Maset, nome di battaglia “Maso”. I rastrellamenti tedeschi sono continui, l’inverno è lungo. A Natale i partigiani fanno base in una capanna di boscaioli. Viveri e legna per fortuna non mancano. Dino non ha paura di nulla. E poi ha un fisico di tutto rispetto: un metro e ottanta e in gioventù aveva provato anche la boxe. Combatte la battaglia decisiva a Piancavallo, i nazifascisti scappano ma il comandante Maso è colpito a morte. E così, per le ultime settimane di guerra, Dino viene promosso vicecomandante di battaglione.

Il presidente Renato Dall’Ara: epiche le sue trattative con Ballacci quando entrambi appoggiavano la pistola sul tavoloDopo la Liberazione, dopo un tuffo al Lido di Venezia con gli ex-partigiani, tornò a Bologna. Non sembrava più nemmeno un calciatore, la guerra coi partigiani era stata durissima e il presidente Dall’Ara strappò il contratto che aveva appena firmato. Dino Ballacci ne prese atto e se ne andò a fare l’impiegato. Poche settimane dopo, Dall’Ara ci ripensò e lo richiamò per la difesa del suo Bologna. “Ai tempi noi calciatori guadagnavamo già tanto e io mi vergognavo ad andare a casa da mio padre che faceva il maresciallo dei carabinieri e prendeva la metà di quello che prendevo io di stipendio”.

Sul campo era un difensore duro e focoso: “Io miravo al pallone, poi pazienza se prendevo le gambe”, disse una volta ad un cronista. Non riusciva quasi mai a fare tutte le partite perché spesso era fuori per squalifica. Poi non sopportava chi fingeva o esagerava dopo un contrasto. Ma gli stavano sulle scatole soprattutto gli juventini e con Boniperti aveva un rapporto particolare: l’unica volta che giocò in azzurro, nel 1954 (Italia- Egitto 5 a 1), fece un assist per Boniperti ma l’asso bianconero non corse ad abbracciarlo, e ne aveva ben donde. Per Ballacci marcare Boniperti era un divertimento, gli entrava duro perché “volevo farlo volare via da sopra la palla e lui si innervosiva – racconta – Boniperti diceva: ‘Arbitro punizione’, e l’arbitro fischiava la punizione, ‘Arbitro fallo’, e l’arbitro fischiava. Una volta dissi: ‘Arbitro, ma la smetta di fischiare e dia il fischietto a Boniperti’. E mi cacciò fuori”.

Una cartolina con la formazione del bologna 1955-56

Ballacci fece il suo esordio in serie A il 10 marzo 1946 in Venezia-Bologna 1 a 2 e da lì militò con il Bologna per dodici stagioni, sempre in Serie A, diventando uno dei calciatori rossoblù più rappresentativi degli anni Cinquanta. Da Gino Cappello al primo Pascutti, chiudendo con la fascia di capitano e un bottino di oltre 300 apparizioni. Insuperabile sull’uomo e debordante col suo senso del tempo, giocò sempre laterale difensivo. Con il presidente Dall’Ara aveva un rapporto particolare: quando fece quell’unica partita in nazionale il presidente gli regalò un orologio d’oro. Ma quando si trattava di rinnovare il contratto, restano nell’aneddotica rossoblù le estenuanti trattative con il presidente dell’ultimo scudetto rossoblù che lo riceveva con una pistola in bella mostra sul tavolo della scrivania. E allora Dino, che la guerra l’aveva fatta sul serio e non veniva certo dai quartieri alti di Bologna, si presentava anche lui con la pistola. E un accordo si trovava sempre. Durante un Bologna-Atalanta era incaricato di marcare il fantasista uruguaiano Josè Garcia, che fece l’errore di fargli un fallaccio. Dino prontamente lo restituì con gl’interessi. Fu quella l’ultima partita di Garcia nell’Atalanta. O meglio, l’ultima sua partita in Italia. Anzi, smise proprio di giocare a calcio e decise di rientrare in Uruguay.

Il Bologna in quegli anni rischiò anche di retrocedere e i tifosi rumoreggiavano.
Lui riuscì a calmarli. A modo suo: “C’è una partita in cui le cose non vanno bene – racconta – Glauco Vanz, il portiere, deve andare a prendere un pallone finito fuori. Ma la gente lo contesta. Così vado io e mi tiro giù i pantaloni davanti alla curva”. Il rude terzino rossoblù collezionò anche due presenze nella Coppa Alta Italia vinta nel ’46 e due in Europa, nella Mitropa Cup dell’estate ’55 contro l’UDA Praga.
Dino Ballacci è il 19esimo di sempre nel computo delle presenze all time dei rossoblù, di cui è stato uno degli elementi simbolo a cavallo degli anni ’40 e ’50. Titolare inamovibile nel secondo dopoguerra con vari allenatori fra cui Gipo Viani, con il quale ebbe un famoso faccia a faccia. Mister Viani, un giorno portò una frusta da carrettiere per “stimolare” i calciatori. Dino non la prese bene. “Caro Viani è meglio che glielo dica subito: come allenatore la rispetto, come uomo non provi a mettermi le mani addosso o la rovino…”.

Nel Bologna giocò fino al 1957 e poi nel 1962 appese le scarpe al chiodo. Continuò a vivere di calcio come allenatore, e nei suoi primi anni in panchina Dino si ispirerà proprio a Viani. Iniziò col Portogruaro e segnalò al suo Bologna Furlanis e Cimpiel. Fece due ottimi due campionati di serie B con Prato e Reggiana. Poi lo chiamò il Catanzaro, sempre in serie B. Nel 1966, con i calabresi, riuscì nell’impresa epica di battere la Juve di Herrera in una semifinale di Coppa Italia, poi persa in finale, solo ai supplementari, con la Fiorentina di Albertosi, De Sisti e Chiarugi. La sua ultima squadra è l’Alessandria, in serie C. Mai sazio di verità, Dino consegna alla stampa un comunicato in cui accusa tre dirigenti di fargli la fronda. “Agiscono contro l’interesse della società. Noi faremo di tutto per salire in serie B, anche se altri si preparano a farla ridiscendere immediatamente”. Tra quei pochi che non l’apprezzano c’è un manager dei calciatori. Dino lo affronta e lo attacca al muro : “Imbezel d’un cretein, la prossima volta ti do una bancata che te la ricordi”. Il manager in questione è quel Luciano Moggi che a Bologna conosciamo molto bene.

Il mastino di San Donato ci ha lasciato il 6 agosto 2013 a 89 anni. Personaggi così, forse… mai più.

Dino Ballacci, classe 1924, ha giocato nel Bologna dal ’46 al ’57. Qui si scambia prodotti gastronomici tipici con il capitano della Spal prima del fischio d’inizio di un derby degli anni ’50. Ballacci è morto il 6 agosto del 2013. Alla stesura dell’articolo ha collaborato Ernesto Consolo. Le foto provengono dall’archivio di Siamo Bologna

 

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