Se il castello simil medievale che domina la val di Zena è di recente costruzione, il paese affonda invece le sue origini addirittura nell’Età del Bronzo. Le cavità carsiche che si possono ammirare nei dintorni durante la Seconda guerra Mondiale furono dotate di energia elettrica ed utilizzate da rifugio
di Giuseppe Rivalta Parco museale Val di Zena – GSB/USB
(articolo pubblicato nel numero uscito nell’inverno 2016)
Quante volte, imboccando la Valle dell’Idice, che sale al Passo della Raticosa, il nostro occhio si è soffermato su un isolato sperone roccioso sormontato da una chiesa e dove, poco più a valle, spicca l’inconfondibile sagoma di un castello merlato con tanto di torre: è l’antica località di Castel dei Britti
La costruzione dell’edificio merlato, poco sotto all’affioramento gessoso ed al gruppo di case originali, iniziò relativamente di recente, nel 1888. per volere del Marchese Alfonso Malvezzi Campeggi. Lo stile scelto intendeva rifarsi a quello medievale allora tanto di moda. I numerosi conci di roccia grigia, usati per la costruzione, provenivano da Firenzuola e furono trasportati da decine di carri fin qui. Vi lavorarono circa 400 persone. Venne preventivamente spianata la collina dove vi era una casa colonica. Fu terminato alla fine del 1894. Nel 1943 vi andarono ad abitare alcune famiglie sfollate, ma nel 1944 i tedeschi lo occuparono completamente per insediarvi all’interno un loro comando. La famiglia Macchiavelli Rangoni lo ha, infine, rilevato qualche decina di anni fa .La presenza di questo palazzo merlato, di origine recente, identifica oggi, con la sua architettura, Castel dei Britti.
Se il castello non ha un passato molto ricco, lo sperone su cui sorge è invece molto interessante. Questa montagnola rientra paesaggisticamente, ed ovviamente geologicamente, nella formazione messiniana dei Gessi Bolognesi. Le vicende che hanno creato il nostro Appennino, hanno agito in maniera pesante sconvolgendo gli affioramenti gessosi (formatesi circa 6 milioni di anni fa) sollevandoli e spostandoli dalle loro sedi originali. I torrenti del Savena, dello Zena e dell’Idice si sono aperti la strada, in migliaia d’anni, lungo le direttrici create da ben strutturate fratture Nord/Sud, formatesi nelle masse selenitiche. Il massiccio isolato di Castel dei Britti ne è una chiara testimonianza.
Notoriamente il Gesso è una roccia tenera e facilmente carsificabile e, come nei settori del Farneto e della Croara, al suo interno si è creato, a partire dal Pleistocene, un vasto numero di grotte e relativi corsi d’acqua ipogei. Nel caso di Castel dei Britti sono state catalogate nove cavità, il che non è poco considerando la relativamente piccola superficie rocciosa. Tra queste ve ne sono due degne di essere ricordate. La prima è la Risorgente di Castel dei Britti che ha uno sviluppo di circa 200 metri e che fu utilizzata, durante l’ultima guerra, come rifugio per gli abitanti del posto. Questi l’avevano attrezzata anche con un’illuminazione ottenuta facendo girare i pedali di una bicicletta adattata per l’occasione. Una seconda, chiamata Grotta del Fabbro (forse per l’utilizzo della cavità per lavorare il ferro), è costituita da un ampio portale che poggia su strati argillosi.
Proprio in mezzo a questi, pochi anni fa, sono state rinvenute decine di statuine da presepio, in parte intatte e molte rotte e senza colorazioni. Qui venivano prodotte artigianalmente utilizzando un’argilla giallastra presente in loco e poi cotte in un forno forse proprio all’interno del grottone. La loro tipologia sembra essere proprio tipica di questo luogo. Sul piazzale della chiesa, fino a circa trent’anni fa, si apriva una cavità poco profonda e di forma circolare, forse utilizzata in epoca preistorica e successivamente chiusa con massi e terra perché ritenuta pericolosa (?) per le auto e la gente del luogo. Peccato aver perso questa piccola grotta che forse poteva nascondere qualche interessante reperto.
Castel dei Britti, affonda però le sue origini nella Preistoria. Infatti, come diversi altri abitati che sorgevano, in piena Età del Bronzo, su promontori alti sulle valli, anche nel nostro caso sono state scoperte testimonianze inconfutabili che confermano questo fenomeno. Fu Francesco Orsoni (lo scopritore della Grotta del Farneto) che, nel 1879, recuperò diversi materiali riferibili al Bronzo Antico oltre a decine di selci ecc.. Occorre arrivare all’VIII° secolo a.C., ormai in epoca etrusca, per constatare che, nella zona compresa tra Zena e Sillaro, la presenza di queste genti è, seppur con pochi reperti, chiaramente individuabile. Infatti a Castel dei Britti venne scoperta una stele su cui era incisa la figura di un guerriero con elmo, lancia e scudo. All’inizio del 700 d.C., mentre i Longobardi dominavano Bologna, nella parte orientale della Via Emilia vi erano ancora i Bizantini come forse anche a Castel dei Britti.
Nel 1781, nel Dizionario Corografico dell’ Abate Serafino Calindri, nelle pagine dedicate alla località sull’Idice, troviamo diverse notizie interessanti. L’autore annota che furono trovate, nel sottostante alveo dell’Idice”…varie medaglie, di anella antiche, di chiavi, di fibule di rame e di bronzo, di olle da sacrifici, in una delle quali, trovata nel 1718, in una nicchia incavata nella rupe del gesso sotto l’antico castello…” Evidentemente a quel tempo era presente molto materiale archeologico. Gabriele Nenzioni (Direttore del Museo di Preistoria di San Lazzaro), una decina di anni fa scavò alcune tombe villanoviane databili VIII° sec.a.C.(zona di Cà de mandorli) e una serie di fornaci per la produzione di vasi (VII° sec.a.C.),verso la Via Emilia, che andarono in parte distrutte da una modifica della viabilità della provinciale che passava a fianco.
Il Calindri, riferisce ancora, che, fin dal 776, qui esisteva un Castel Gessaro (Castro Gessaro) detto volgarmente Brito (Britu), ma che nel XVIII° secolo era ormai distrutto, non ostante fosse stato, nell’antichità, abitato da nobili famiglie bolognesi. Nel 1175 il castello venne messo a ferro e fuoco da un certo Cristiano, cancelliere di Federico I°. Seguirono successive ricostruzioni. Memorie storiche parlano di un castello che molti, anticamente, identificavano con la Città di Brintum, ma che, all’epoca del Calindri, era ormai ridotta ad una chiesa con canonica e poche case oltre a resti di mura ed una porta castellana. La chiesa di San Biagio, che domina, ancora oggi, la collina di gesso, fu costruita probabilmente sulla antica cappella del castello. Da tempo è chiusa al pubblico perché lo sperone, su cui è stata costruita, è purtroppo a rischio di crollo.
Non c’è certezza, ma alcuni hanno ipotizzato (Don Calzi) che Castel dei Britti potrebbe essere stato un luogo di transito di una via antica (romana?) che portava verso il crinale appenninico collegandosi ad altre strade di cresta. Ancora oggi è possibile giungere al Passo della Raticosa restando sempre in quota partendo da qui. Un ramo della famosa Flaminia Minor?