Imprenditore illuminato e immenso benefattore, alla sua morte (arrivata nel dicembre del 1922 a causa della Spagnola) lasciò tutti i suoi averi alla sanità bolognese. A lui dobbiamo anche l’ospedale Maggiore e il Bellaria
Di Gianluigi Pagani
Torniamo a parlare di una figura storica fondamentale per Bologna, Carlo Alberto Pizzardi, munifico benefattore della città.
Grazie alle sue donazioni oggi abbiamo gli ospedali Bellaria e Maggiore, ed un’azienda sanitaria con proprietà immobiliari. Carlo Alberto ha infatti deciso di donare tutte le proprie ricchezze per la salute dei bolognesi. Si racconta che il notaio, al momento della redazione dei diversi atti di donazione, abbia esclamato “…ma è proprio sicuro?”. Carlo Alberto ha sempre dato prova di grande magnanimità ed intelligenza. Dopo aver salvato e consolidato le ricchezze della famiglia, e dopo aver viaggiato in Europa per rendere le proprie attività ed aziende all’avanguardia in campo tecnico, aveva creato il cosiddetto “Sistema Pizzardi” per la gestione della ricchezza, basato sul principio che l’imprenditore deve diventare ricco ed insieme deve aiutare gli altri. Un benefattore sociale che non deve sfruttare la ricchezza ed il lavoro altrui, ma deve contribuire al benessere generale, da cui deriva il proprio benessere economico.

Palazzo Rosso a Bentivoglio
Nel corso della sua esistenza aveva pertanto migliorato la qualità della vita dei suoi contadini, bonificando vaste aree paludose, recuperandole all’agricoltura e riducendo la malaria. A tal fine, nei canali delle acque delle sue proprietà, aveva immesso dei pesci particolari che si nutrivano delle larve delle zanzare pericolose. Dall’estero aveva portato nuove macchine per trebbiare il grano e per lavorare il fieno e la canapa. Grazie alle sue conoscenze, aveva sperimentato nuovi concimi e aveva introdotto una nuova razza bovina. Aveva migliorato i mulini della zona, facendo installare turbine e macchine a vapore per integrare l’energia idraulica quando i corsi d’acqua non riuscivano a muovere le macine. Aveva introdotto nuovi sistemi per la coltivazione del riso e il suo stoccaggio. Aveva migliorato la situazione delle famiglie dei propri operai, concedendo loro alloggi più dignitosi.

La sala dello Zodiaco dentro Palazzo Rosso
Nel periodo della Prima guerra mondiale aveva elargito cospicue donazioni in denaro e in immobili a favore del Ricovero di Mendicità per i poveri ed a favore dell’Ostello per i fanciulli malati di tubercolosi a San Giorgio di Piano. Poi, alla fine della sua vita, dopo aver sistemato economicamente i fratelli e la sorella, si è spogliato di tutti i beni e li ha donati alla comunità, tanto che il Consiglio Comunale di Bentivoglio lo ha nominato “Cittadino Benemerito” con uno speciale riconoscimento mai attribuito ad alcuno. Ma arriviamo a quel famoso novembre 1919 quando Carlo Alberto Pizzardi ha chiamato il notaio Gaetano Angeletti (lo stesso che sette anni prima aveva redatto il testamento del poeta Giovanni Pascoli) per donare tutti i suoi possedimenti di Bentivoglio allo ‘Spedale Maggiore’ di Bologna, che all’epoca aveva sede nell’ex convento di via Riva di Reno n.52. L’atto di donazione obbligava il beneficiato alla costruzione di un nuovo ospedale di medicina generale, che avesse un reparto specifico per la tubercolosi, la più pericolosa malattia di quel periodo storico. Il sito per costruire questo ospedale fu individuato nella zona di San Lazzaro di Savena, località Bellaria, su una piccola collina.
Poi nel maggio 1920, Carlo Alberto ha chiamato ancora il notaio Angeletti per fare la seconda donazione, lasciando sempre allo ‘Spedale Maggiore’ tutti i beni presenti nella tenuta di Bentivoglio fra cui mobili, quadri ed arredi. Nel giugno 1921 è giunta la terza donazione con un altro terreno nel Comune di Medicina, sempre destinato allo ‘Spedale Maggiore’, ed anche in questo caso prevedendo delle clausole specifiche per la tutela dei malati e la formazione dei dottori (ad esempio, una somma di denaro era destinata all’acquisto di libri di medicina, italiani e stranieri, per consentire ai medici di studiare sempre per migliorare le cure). Infine nel dicembre 1921 è arrivata la quarta e ultima donazione, attraverso cui il Marchese Pizzardi ha versato, sempre allo ‘Spedale Maggiore’, 1.200.000 lire (ricordiamo che, in quel periodo, un operaio guadagnava al mese circa 300 lire al mese), per costruire una nuova moderna sede sulla via Emilia, nella zona dei Prati di Caprara, quello che noi tutti oggi chiamiamo l’Ospedale Maggiore di Bologna. Inoltre il marchese Pizzardi, non ancora pago di queste quattro donazioni, ha lasciato per testamento tutto quel poco che gli era rimasto.
Ancora oggi, quando dobbiamo effettuare delle pratiche con l’Azienda Usl, ci rechiamo in via Castiglione 29, attuale sede dell’azienda sanitaria bolognese, che è Palazzo Ratta, ossia la residenza in città di Carlo Alberto. Questo edificio è stato lasciato per testamento all’amministrazione centrale dello ‘Spedale’, con l’obbligo di trasferire all’interno la propria sede entro due anni dalla morte di Pizzardi. Questo è l’aspetto straordinario di quest’uomo che, non solo lasciava soldi e immobili, ma cercava di regolamentare e dirigere la situazione, da buon e avveduto imprenditore, “minacciando” che, in caso di inottemperanza delle proprie disposizioni, ad esempio, il palazzo fosse donato in seconda battuta al Comune di Bologna. Inoltre tutti i suoi vestiti, compresa la sua biancheria personale, sono stati lasciati, sempre per testamento, ai poveri dell’ospizio dei vecchi, mentre la sua biblioteca personale è stata trasferita all’Archiginnasio e alcune somme di denaro sono state lasciate ad opere caritatevoli e culturali, quali il Museo del Risorgimento.
Pizzardi era una persona molto religiosa e tanti si sono chiesti come mai non ha lasciato i soldi ed i beni alla Chiesa. Maurizio Garuti nel suo libro “La solitudine di Carlo Alberto. I Pizzardi una saga familiare”, edito da Minerva, ha fornito un suo personale giudizio su queste donazioni ‘laiche’ del marchese (tra parentesi, titolo concesso alla famiglia nel 1833 proprio da Papa Gregorio XVI). “Carlo Alberto voleva un effetto immediato, visibile e tangibile – scrive Garuti – cosa c’era di più concreto e più simbolico di un ospedale, con malattia, cura, sofferenza, speranza, rinascita… non in astratto ma in concreto… con muri, corsie, posti letto, medici e infermieri”. Tutto a favore degli altri, ed in particolare dei poveri. Carlo Alberto Pizzardi voleva essere lui stesso “un povero”, e tale si considerava, tanto che ha scritto: “…morto che io sia, sarà data sepoltura cristiana al mio cadavere nel cimitero del comune o della parrocchia dove accadrà la mia morte, in campo aperto, come ai poveri si dà. Non funerali, non fiori, non accompagnamenti. Nessun distintivo e nemmeno il nome si ponga sulla mia tomba volendo, lo confermo, essere trattato come il più povero fra i poveri”.
È morto il 10 dicembre 1922 a Bologna a causa della Spagnola, la pandemia dell’epoca, che ha provocato milioni di morti in tutto il mondo. Quando andiamo al Bellaria, ricordiamoci del nostro meraviglioso Marchese, soffermandoci un attimo all’entrata, nella parete di sinistra, dove è situato il suo busto bronzeo, oppure visitando il sepolcro che si trova sempre al Bellaria, vicino alla Cappella di Santa Teresa, scendendo i gradini verso il giardino. Li è seppellito il marchese Carlo Alberto Pizzardi accanto al busto di un Cristo sofferente.