Il corsivo? È nato a Bologna e ha più di mezzo millennio

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Quello parlato spopola su Tik Tok ma siamo certi avrà vita più breve di quello tipografico inventato da Francesco Grifo nel XVI secolo

di Serena Bersani

Se pensate che il corsivo sia una modalità di scrittura che, anche nella forma digitale, riproduce quella a mano, sul modello di quella insegnata dalla maestra delle elementari, siete chiaramente dei boomer la cui massima attività social è pubblicare dei “buongiorno caffè” su Facebook. Sì, perché da qualche mese il corsivo che spopola tra i giovani è quello parlato, secondo le lezioni impartite da una “insegnante” ventenne su Tik Tok, tale Elisa Esposito, nome che a voi non dirà niente ma che viaggia verso il milione di followers. Il corsivo da lei divulgato è un modo di parlare strascicando le vocali con un accento da milanese snob (a Bologna si direbbe in un altro modo) protagonista di un cinepanettone.

Ma questo cörsivöe – c’è da scommetterci, e anche da sperare – è destinato a durare l’espace d’un matin o poco più mentre il corsivo, quello vero come lo stile usato per scrivere questo articolo, ha 522 anni e se li porta benissimo. L’invenzione del corsivo tipografico, quel carattere così elegante destinato a rivoluzionare il mondo dell’editoria e a facilitare la diffusione della cultura, è opera di un bolognese misconosciuto e i cui meriti non sono mai stati adeguatamente sottolineati, forse perché terminò la vita in maniera piuttosto inelegante, sul patibolo.

Il suo nome era Francesco Griffo, conosciuto dai suoi contemporanei (era nato nel 1450) come Francesco da Bologna, anche se in città non c’è manco un vicolo a lui dedicato. Per non dire della disonestà con cui il corsivo viene tradotto nelle lingue straniere – italic, italique, italico – quando più correttamente dovrebbe essere chiamato bolognese, vista la provenienza del suo ideatore. Solo lo spagnolo gli rende omaggio, traducendo il corsivo in “letra grifa”. Di fatto, italico è diventato sinonimo di corsivo.

Griffo era figlio di quella fioritura tipografica che ebbe come culla Bologna nella seconda metà del Quattrocento. La prima società tipografica italiana era nata proprio nella città delle torri il 25 ottobre 1470 per volere di Baldassarre Azzoguidi. La sua impresa, nell’odierna via Oberdan, fu artefice dell’introduzione della stampa a caratteri mobili a Bologna e si caratterizzò per il grande impegno culturale, a partire dalla pubblicazione dell’opera omnia di Ovidio. Ma l’aspetto più stupefacente è il rapido moltiplicarsi delle tipografie in città, se si pensa che alla fine del Quattrocento si contavano oltre 150 edizioni. Insomma, nato nella culla dell’editoria in pieno fermento rinascimentale, Francesco ebbe modo di mettere in mostra le sue abilità più artistiche che artigianali, più da orafo o miniaturista che da tipografo. Ciascuna lettera doveva, infatti, essere intagliata nelle dimensioni proporzionate alle altre e in modo da formare uno stile coerente. Il carattere tondo della stampa, con le lettere chiaramente distaccate tra di loro, veniva ritenuto poco adatto alla lettura meditativa degli umanisti. Serviva un carattere che riproducesse la scrittura morbida degli amanuensi, un poco piegata verso destra e con le lettere elegantemente legate tra loro. Griffo si fece artefice di questa invenzione, con il suo disegno raffinato delle lettere da intagliare e con la difficoltà di incidere tutte le lettere a rovescio per poi stamparle. Purtroppo il corsivo, che vide la luce nel 1501 con un’edizione delle “Bucoliche” di Virgilio, venne scippato alla città di Bologna e al suo inventore dal ben più noto imprenditore dell’editoria Aldo Manuzio, con tipografia a Venezia, presso il quale il bolognese Francesco operava da una dozzina d’anni e per il quale aveva già mirabilmente inciso l’alfabeto greco e il tondo latino. Nel 1500 per Manuzio aveva fatto una sorta di prova generale del suo corsivo utilizzandolo per la pubblicazione delle “Epistole” di Santa Caterina da Siena, che iniziavano con la frase “Jesu dolce Jesu amore”. Non a caso la prima parola stampata in corsivo fu il nome di Gesù, perché ritenuto beneaugurante dalle tradizioni del tempo.

È difficile comprendere oggi la portata dell’introduzione di questo carattere, che ebbe il merito di rivoluzionare il mondo culturale dell’epoca. Griffo intuì che la stampa in corsivo avrebbe permesso la produzione di un maggior numero di libri, in formato ridotto (in ottavo, in sedicesimo), perché il nuovo carattere occupava meno spazio in pagina rispetto al tondo. La sua invenzione era, di fatto, il prodromo della cultura di massa, alla portata di tutti e portabile ovunque perché gli ingombranti tomi degli amanuensi potevano essere sostituiti da agili libretti quasi di formato tascabile.

Deluso della collaborazione con Manuzio, a inizio Cinquecento Francesco se ne andò da Venezia mettendosi in proprio e diventando uno dei principali diffusori culturali del suo tempo grazie alla produzione di classici italiani e latini in edizione popolare. Lavorò a lungo anche nelle Marche per lo stampatore Girolamo Soncino, per il quale creo un carattere corsivo leggermente diverso a quello prodotto a Venezia per Manuzio. Quest’ultimo, infatti, che sapeva fare affari, aveva ottenuto una sorta di copyright per dieci anni sul “suo” corsivo in modo che non si potesse adoperare per alcuna pubblicazione di editori soggetti alla giurisdizione della repubblica veneta. La prima opera pubblicata da Soncino in corsivo, la cui paternità veniva attribuita nero su bianco a Griffo, fu una raccolta delle opere in volgare di Petrarca, uscita nel 1503. La biblioteca dell’Archiginnasio conserva molte opere edite con il corsivo di Griffo, a cominciare dal “Canzoniere” di Petrarca stampato nel 1516 a Bologna dopo il suo definitivo ritorno nella città natale. Delle matrici da lui incise, invece, non è rimasto nulla.

La vita dell’inventore del carattere tipografico più elegante ebbe un epilogo tragico. A causa di dissapori domestici, dopo aver sfidato a duello il genero Cristoforo de Resia, un noto mercante marito della figlia Caterina, che viveva nella sua stessa casa, lo uccise colpendolo con una spranga di ferro o, forse, proprio con un punzone tipografico. Correva l’anno 1518. Per un delitto così c’era il patibolo. Non si sa se questa fu la sorte toccata a Griffo o se riuscì a fuggire da Bologna trascorrendo gli ultimi anni della sua vita (aveva ormai una settantina d’anni) in clandestinità. Da allora su di lui scese il silenzio, scivolò di colpo nell’oblio, il suo nome scomparve da tutte le pubblicazioni con una ferrea damnatio memoriae.

A questo punto, non ci resta che ringraziare la tiktoker Elisa inventrice del cörsivöe per averci offerto l’occasione per ricordare un bolognese illustre, togliendo la polvere depositatasi per cinque secoli sul nome di Francesco Griffo. L’inventore del corsivo, quello vero.

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