Pier Paolo, Bologna e Pasolini

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Il rapporto tra l’intellettuale e la sua città natale, dal Galvani al Cinema nel centenario della nascita 

di Sera Bersani
foto di Cineteca di Bologna 

Pier Paolo – il giovane studente – a Bologna. Pasolini, PPP – lo scrittore, il poeta, il regista, il letterato, il giornalista, uno dei più illuminati intellettuali del Novecento – nel mondo.

Fermo immagine di una trasmissione di Enzo Biagi, “III B: facciamo l’appello”, prodotta per la Rai nel 1971 ma che andò in onda solo dopo la morte di Pasolini, la cui figura era stata per anni oggetto di censura e ostracismo anche da parte della televisione nazionale. Ci sono un gruppo di quarantenni che si sono conquistati un posto nella vita e sulla scena pubblica. Sullo sfondo l’ingrandimento di una foto scattata al liceo Galvani, 1938, sezione C: ragazzi con la paglietta inglese appartenenti alla buona borghesia bolognese, sorridono con quell’aria scanzonata che si può avere solo a sedici anni, anche se costretti in giacca e cravatta. All’appello di Biagi, trent’anni dopo, rispondono: Bertani Odoardo (giornalista, critico teatrale), Bignardi Agostino (deputato del Partito Liberale), Manzoni Carlo (medico), Pitani Nino (attore, in arte Daniele Vargas, caratterista molto ricercato per i ruoli di “cattivo”), Telmon Sergio (giornalista, anchorman del Tg Rai), Pasolini Pier Paolo (lui stesso non sa se definirsi scrittore o regista). Si riavvolge la pellicola dei ricordi e si ritorna alla Bologna di fine anni Trenta, in cui il giovane Pier Paolo compì pressoché tutta la sua formazione dalla quale nacque il Pasolini che abbiamo conosciuto.

Eppure, malgrado quelle radici tanto profonde che lo legavano a Bologna, PPP non rievocò spesso l’adolescenza del poeta, per cui se vogliamo ricostruire il ritratto dell’artista da giovane dobbiamo farlo attraverso i documenti e le testimonianze raccolte in gran parte dopo la sua prematura e tragica morte. C’era sempre una certa reticenza in lui nel parlare della città natale, che pure trovava la più bella d’Italia dopo Venezia e alla quale era legato da un rapporto di amore/odio, un rapporto in cui si scontravano la consapevolezza e la riconoscenza per la formazione intellettuale che gli aveva dato e la repulsione per la cultura fascista in cui si era trovato a crescere negli anni del liceo e dell’università e per quell’imborghesimento comunista che contestava alla città nel primo scorcio degli anni Settanta. Non sappiamo quanta “bolognesità” fosse rimasta in PPP dopo la fine della seconda guerra mondiale, ma certo possiamo tracciare una sorta di topografia pasoliniana di Bologna ripercorrendo i luoghi della città da lui vissuti, amati, spesso ricordati negli scritti e nelle immagini. Luoghi anche scelti, non certo come mere scenografie, per alcuni dei suoi film più importanti come “Edipo re” e l’ultimo, terribile, “Salò e le 120 giornate di Sodoma”. 

IL PRIMO INDIRIZZO
IL LICEO E L’UNIVERSITà

Francesco Leonetti, PPP e Luciano Serra a Bologna nel 1940

E allora partiamo da lì, il primo indirizzo: via Borgonuovo 4, dove Pier Paolo nacque esattamente cento anni fa, il 5 marzo 1922. Il padre Carlo Alberto è un militare, fervente fascista, a cui capita la sorte, durante un servizio d’ordine, di essere uno dei protagonisti del fallito attentato a Mussolini in via Indipendenza. Avrebbe preso per un braccio lo sparatore, ritenuto poi il povero quindicenne Anteo Zamboni, pugnalato dalle Camicie Nere e linciato dalla folla. La sua attività lo rende nomade e quindi dei primi anni bolognesi Pier Paolo non può ricordare nulla avendo lasciato la città quando ne aveva appena tre. Ricorderà invece il ritorno e gli anni, fervidi di stimoli e di passioni, coincidenti con il liceo e l’università. Nel 1936 Pasolini frequenta la quinta ginnasio al Galvani, poi i tre anni di liceo nella sezione C dello stesso istituto di via Castiglione 38, contendendo il posto di primo della classe ad Agostino Bignardi. Il nuovo indirizzo di Pier Paolo è via Nosadella 48, abitazione frequentata con piacere anche dal futuro segretario del Partito Liberale per poter ammirare la bellissima cugina dell’amico, Graziella Chiercossi. Il Galvani è uno dei luoghi di formazione che più lo plasmeranno, grazie all’incontro fortunato con professori di grande carisma, come accadrà poi all’università con la folgorazione per il docente di storia dell’arte Roberto Longhi. All’ateneo, facoltà di Lettere, Pasolini si iscriverà addirittura con un anno di anticipo avendo superato l’esame di maturità nella sessione autunnale del 1939. Malgrado la guerra incombente, saranno per lui anni di grande fermento intellettuale trascorsi tra poesia, teatro, cinema, critica letteraria e di grande ispirazione creativa con prove più o meno riuscite in tutti questi campi, circondato da tanti amici ventenni come Roberto Roversi, Renzo Renzi, Francesco Leonetti, Fabio Mauri, oltre agli ex compagni del Galvani. Una sorta di fortunata congiuntura astrale o forse, soltanto, il concretizzarsi del genius loci cittadino in una generazione destinata ad eccellere. Dopo la laurea discussa con il professor Carlo Calcaterra (con una tesi sul Pascoli che rimarrà nella bibliografia degli studi sul poeta romagnolo), avendo dovuto rinunciare a laurearsi con Longhi cacciato dall’Università dal fascismo, comincerà il lungo e progressivo addio di Pasolini al luogo in cui ha passato – sono parole sue – forse i sette anni più belli della sua vita.

LA TV, IL CINEMA
E IL RITORNO A CASA

sul set de Il Vangelo secondo Matteo

A riportare Pasolini, ormai PPP, a Bologna sarà il cinema. A parte le interviste del film inchiesta girato nel 1963 “Comizi d’amore” (memorabile l’intervista di gruppo ai giocatori del Grande Bologna sul campo dei Prati di Caprara), indimenticabili sono le scene girate sotto il portico dei Servi per “Edipo re” e quella in piazza Maggiore dove, riprendendo dal basso la facciata di San Petronio, il regista fa apparire come schiacciato da tanta incombenza il suo protagonista. E siccome PPP utilizzava spesso i luoghi come se fossero personaggi, certamente non fu casuale la scelta di Villa Aldini che domina la città dall’alto del colle dell’Osservanza (e che l’adolescente Pier Paolo vedeva stagliarsi sullo sfondo di via Nosadella rientrando a casa da adolescente) per ambientarvi “Salò”. La villa costruita da Napoleone è il luogo perfetto per mettervi in scena la violenza della tirannide e la degenerazione del potere che porta alla degradazione umana. A riportare Pasolini a Bologna sarà poi, sempre e per sempre, la concittadina attrice Laura Betti, con la quale il regista intratterrà dal 1957 un’amicizia di livello superiore alle convenzioni e la quale volle fortemente, prima di morire, che venisse trasferito e conservato alla Cineteca di Bologna l’archivio a lui dedicato.

Se si va a spulciare tra le dichiarazioni rilasciate da Pasolini nelle più diverse occasioni e nella sua biografia, si scopre che davvero la formazione dell’artista è avvenuta quasi tutta a Bologna. Qui sono nate le sue grandi passioni. Qui è nato l’amore per i libri e la letteratura: la libreria Nanni sotto il Portico della Morte, quello che in “III B: facciamo l’appello” definisce «il luogo della mia vita», dove trascorreva pomeriggi sfogliando libri come “L’idiota” di Dostoevskij o il “Macbeth” di Shakespeare «perché non si legge più in tutta la vita con quell’entusiasmo con cui si leggeva allora». Qui è nato il suo amore per la poesia: a vent’anni, nel 1942, pubblicava presso il libraio antiquario Landi di piazza San Domenico, a proprie spese, la silloge di “Poesie a Casarsa”, che sono sì scritte nel materno dialetto friulano, ma sono state in gran parte concepite e composte a Bologna. Qui è nato il suo amore per l’arte: folgorato dalle lezioni universitarie di Roberto Longhi sulla pittura di Masolino e Masaccio (che tanto influenzerà anche immagini e inquadrature dei suoi film) e poi dedito lui stesso alla pittura e alla frequentazione del mondo artistico bolognese degli anni Quaranta insieme a Francesco Arcangeli, Leone Pancaldi, Aldo Borgonzoni. Qui è nato il suo amore per il teatro: sedicenne, da studente del Galvani, vince i Ludi Juveniles con un dramma in tre atti intitolato “La sua gloria”, da universitario scrive un “Edipo all’alba” che precorre la versione cinematografica del 1967 girata in parte a Bologna, poi frequenta con assiduità il Teatro del Corso in via Rizzoli e finisce con il mettere su una compagnia teatrale con i compagni di scuola Carlo Manzoni, Ermes Parini ed Elio Melli (che diventerà professore di Filologia romanza all’Università di Bologna). Qui è nato il suo amore per il cinema, come racconterà nella celebre conversazione con Jon Halliday: «Mi iscrissi a un cineclub e vidi allora tutto René Clair, i primi Renoir, qualche Chaplin e così via. Fu allora che nacque il mio grande amore per il cinema». Qui è nata la passione giornalistica: il suo primissimo articolo, “Nota sull’odierna poesia”, viene pubblicato in piena guerra, nel 1942, su «Gioventù italiana del Littorio. Bollettino del Comando federale di Bologna», a cui seguiranno la collaborazione con la rivista del GUF (Gruppo Universitario Fascista) bolognese “Architrave” e la nascita per sua iniziativa della rivista “Il Setaccio”, che avrà breve vita. Gli articoli di questo primo periodo trattano soprattutto temi culturali e letterari per poi allargarsi, a partire dalla straordinaria stagione della rivista “Officina” nella seconda metà degli anni Cinquanta, fondata a Bologna con Roberto Roversi e Francesco Leonetti, sempre più a temi sociali e politici. Qui è nato anche il suo antifascismo che Pasolini sostiene sia scattato quando un professore di Filosofia, Antonio Rinaldi, durante una supplenza al Galvani lesse in classe la poesia di Rimbaud “Il battello ebbro”. E, ricordando il fratello Guido morto da partigiano, dirà poi: «Io non ero partigiano armato, ero partigiano ideologico».

LA VITA A ROMA
A BOLOGNA L’ANIMA

Il trasferimento a Roma lo terrà lontano per il resto della vita dalla sua città natale, nella quale torna solo per partecipare ad eventi e convegni o incontrare i vecchi amici. In PPP c’è quasi una rimozione di Bologna e di ciò che per lui ha rappresentato, anche se periodicamente manifesta la voglia di tornarci per restare, attratto da forti nostalgie che forse sono più per l’adolescente Pier Paolo che per la città di allora. Dopo il lungo abbandono, Bologna è ormai in una dimensione onirica. Quando Enzo Biagi gli mostra immagini di Bologna com’era e com’è diventata negli anni Settanta, Pasolini racconta di ricordarla soprattutto in sogno, un sogno ricorrente e terribile in cui lui, bambino, ha perso sua madre e la cerca disperatamente aggirandosi per le strade di Bologna. E un altro sogno, che ricorda di avere fatto per tanti anni dopo la fine della guerra, è quello del ritorno a Bologna di Ermes Parini, suo compagno di banco e con cui faceva sempre la strada per tornare a casa, disperso in Russia. Forse lo sognava come in quell’immagine scattata in via Indipendenza da un fotografo di strada nel 1939, un anno prima dell’orrore della guerra, in cui si vedono Pier Paolo ed Ermes camminare con lo stesso passo, belli ed eleganti con identiche scarpe bicolore alla moda degli anni Trenta. Si sognano sempre ritorni e ci sono sempre strade che 

  • Fino ad ottobre nel Sottopasso di piazza Re Enzo
    Folgorazioni figurative

    Dalla pittura, che imparò ad amare tra i banchi dell’Università di Bologna agli inizi degli anni Quaranta, al cinema, che lo vide protagonista di una meravigliosa stagione negli anni Sessanta e
    Settanta. I capolavori dell’arte medievale e rinascimentale rivivono nel cinema di Pier Paolo Pasolini, sono riferimento visivo costante delle sue inquadrature, fonti d’ispirazioni o financo tableaux vivant. Le Folgorazioni figurative furono quelle che illuminarono lo sguardo del giovane Pasolini, quelle che la mostra realizzata dalla Cineteca di Bologna ricostruisce mettendo a confronto le immagini della grande tradizione pittorica e quelle dei film di PPP, lungo un percorso cronologico che va dall’esordio di Accattone nel 1961 all’ultimo, postumo, Salò del 1975. Promossa dalla Cineteca di Bologna, nell’ambito delle celebrazioni del Comune di Bologna e di quelle del Comitato nazionale per il Centenario della nascita di Pasolini e curata da Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi e Gian Luca Farinelli, la mostra Pier Paolo Pasolini Folgorazioni figurative sarà aperta al pubblico dal 1° marzo al 16 ottobre (con visite guidate a cura di Bologna Welcome), inaugurando così i nuovi spazi espositivi del Sottopasso di Piazza Re Enzo, nel cuore di Bologna, la città dove Pasolini nacque il 5 marzo 1922. Non si tratta di rammentare un semplice dettaglio anagrafico, ma di seguire una traccia. Importante. La traccia che Bologna ha lasciato nella formazione di una delle anime più sensibili del nostro Novecento, dalla nascita, appunto, agli anni del liceo e dell’università, con un maestro come Roberto Longhi che ne plasmò lo sguardo e lo instradò verso una passione, quella per l’arte figurativa, che lo accompagnerà lungo tutto il suo poliedrico percorso creativo. Una vera e propria folgorazione.

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