ALLA SCOPERTA DELLA DOLINA DELLA SPIPOLA (seconda parte)

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di Giuseppe Rivalta
Museo della Val di Zena – GSB/USB

Nel settore più orientale della Dolina della Spipola esistono altri ingressi a pozzo tra cui la Grotta delle Pisoliti, dal nome di rare concrezioni libere meglio note come “perle di grotta”. Sempre in quella direzione si apre lo spettacolare Buco dei Buoi posto ai bordi della incombente dolina della Spipola. Si tratta di uno splendido inghiottitoio di crollo ad andamento imbutiforme. Scendendolo si prova la strana sensazione di essere in uno dei gironi danteschi. La progressiva diminuzione della radiazione luminosa, dovuta alla folta vegetazione, accompagnata da un sensibile incremento dell’umidità, permette di fare un viaggio virtuale nella Storia dell’Evoluzione. Infatti partendo, dall’alto, si è circondati da piante a fiori (Fanerogame) apparse sulla Terra nei tempi più “recenti” (circa 140 milioni di anni da oggi). Scendendo si entra nella zona di crescita delle Felci (Crittogame comparse circa 300 milioni di anni fa) per passare alle Epatiche ed ai Muschi (Briofite comparse 450 milioni di anni fa) i cui fusticini sono molto allungati per catturare la debole radiazione luminosa presente. Per finire vi sono le Alghe verdi-azzurre che coprono le pareti di fondo, in perenne semioscurità e con elevata umidità. Le alghe sono le piante filogeneticamente più antiche (furono i primi colonizzatori della Terra). Oltre questo limite dove la radiazione luminosa è ormai assente, troviamo la roccia nuda ed il Regno, nelle grotte, dei Miceti microscopici di estremo interesse scientifico ed ancora da studiare compiutamente. Il Buco dei Buoi è pertanto un importante modello su cui fare didattica scientifica.
Tornando verso il bordo della Dolina della Spipola, il versante a Sud si caratterizza per l’esistenza di una profonda dolina (Buco dei Quercioli) e per il rilievo del Monte Castello sul cui versante (che si affaccia a nord est) si nota un ex inghiottitoio (Cava a Filo) purtroppo demolito da una miniera che tagliava il gesso con il filo elicoidale diamantato (metodo apuano). Qui, nel Pleistocene Superiore, all’interno di questo imbuto naturale, son cadute decine di specie animali tra cui numerosi bisonti, cinghiali, tassi, lupi, cervi giganti (Megaloceri), volpi, ermellini, uri, caprioli, fagiani di monte, falchi, oltre a microfaune di roditori (almeno 132 individui) ecc. Erano tutti animali vissuti nell’ultimo glaciale (Wurm) a partire dai 20.000 anni agli 11.000 da oggi. La presenza di diversi resti fossili vegetali (pino, betulla, ontano, olmo, quercia ecc.) inglobati nelle stratificazioni argillose, che avevano colmato l’inghiottitoio, ha permesso la ricostruzione dei cambiamenti climatici avvenuti in questo territorio, fino alla fine del Wurm. A tal proposito desidero precisare che oggi ci troviamo in un nuovo periodo interglaciale (caldo) che rientra, in pieno, nelle alternanze climatiche naturali, anche se solo in parte l’azione dell’uomo tende ad influirlo. Riguardo al Bison priscus, il grande bisonte delle steppe, sembra che i resti di questi animali siano stati convogliati dalle acque che s’infilavano nel sottostante cunicolo carsico. La loro presenza corrisponde al 73% rispetto alle altre specie trovate nel sito e che vivevano alla Croara durante un periodo, in cui, la vegetazione si addensava lungo i fiumi mentre, tutto attorno, i territori erano poveri di alberi (steppa). Significativi sono anche i resti di Canis lupus, una specie arcaica arrivata dalle terre siberiane, carnivori che sono sempre stati presenti durante le ultime oscillazioni glaciali. A tutt’oggi, in questo sito, sono in corso studi per verificare la possibile esistenza anche del cane domestico. Non mancano le tracce lasciate dall’uomo del Paleolitico poiché si ritiene che alcuni bisonti possano essere stati soggetti ad attività venatoria/macellazione. Proprio in queste zone, a metà del 1800, il Prof. Giovanni Capellini (fondatore del museo omonimo) raccolse i primi manufatti preistorici che attestavano la frequentazione di gruppi umani. Molti anni dopo Luigi Fantini oltre a raccogliere nuovi reperti preistorici, scoprì quel fenomeno carsico (tra cui la Grotta della Spipola) che ancora oggi, i suoi epigoni del GSB/USB, continuano ad esplorare con grande successo. Il Monte Castello, oltre ad una importanza paleontologica, ha anche una rilevanza storica e archeologica per probabili elementi legati alla romanità e per ritrovamenti di epoca medievale (resti scheletrici umani ecc.). La sottostante antica casa detta “il Castello” è costruita direttamente sul gesso e l’attigua stalla ha origini longobarde. Purtroppo entrambe giacciono in un pericoloso degrado ed abbandono. Così, oggi continuiamo a perdere importanti tasselli della nostra storia.
La Dolina della Spipola, per queste sue peculiarità, rappresenta il fiore all’occhiello del Parco Regionale dei Gessi Bolognesi. Molto lavoro è stato fatto dall’Ente Parco, dal 1988, per favorire la sua valorizzazione, nonostante il verificarsi di episodi di danneggiamento causati da uno stupido vandalismo, su strutture montate a protezione dei visitatori. Fra tra tutti è stato, come eclatante esempio, la distruzione di cartelli in scrittura braille su un percorso creato appositamente per non vedenti, proprio all’interno della dolina.
Dopo trent’anni, da parte dell’Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità dell’Emilia Orientale, si sta lavorando per ottenere il patrocinio U.N.E.S.C.O. per gli affioramenti gessosi e fra questi la Dolina della Spipola rappresenta certamente un’eccellente carta di presentazione.

Articolo pubblicato nel numero dell’autunno 2018
La prima parte era pubblicata sul numero precedente

 

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