Le pietre di Bologna

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Su quale terreno poggia il territorio bolognese? Quando e come si è formato? La geologia locale fra itinerari ambientali e musei nella prima puntata sulla nuova rubrica sulla storia di Bologna

di Elena Boni e Luca Martelli (geologo del Settore difesa del territorio della Regione Emilia-Romagna)

La penisola italiana nasce dall’interazione fra due placche geologiche: quella africana, in particolare la propaggine adriatica, e quella euroasiatica. Dove i due bordi vengono a contatto, il terreno si solleva e si formano catene montuose: questa è l’origine dell’Appennino. Bologna si trova sul versante nord della catena appenninica, nella zona di sotto-scorrimento della placca adriatica. La pianura presenta una situazione particolare: in superficie sembra tutta piatta, ma se si fa una “radiografia” del sottosuolo padano, si notano in realtà delle “pieghe”.

Il Contrafforte e i ciottoli

Il sottosuolo di Bologna è costituito dai sedimenti che gli agenti atmosferici hanno eroso dalla catena montuosa in formazione e che i fiumi hanno poi depositato nel bacino più a valle. Circa 3 milioni di anni fa la pianura era un bacino marino che si è man mano riempito di sedimenti. Il contrafforte pliocenico, che attraversa l’Appennino a sud di Bologna tra i Comuni di Sasso Marconi e Pianoro, oggi costituisce una riserva naturale regionale. Nel Pliocene, fra i 5 e i 2 milioni di anni fa, era un golfo che poi si è riempito di sedimenti. In seguito, i terreni più facilmente erodibili, come le argille, sono stati portati via ed è rimasto il calco, come se fosse il “negativo” dell’antico bacino. La zona è solcata da numerosi sentieri e percorsi scientifico-naturalistici; i luoghi più favorevoli per ammirare il contrafforte sono le strade verso Marzabotto e il Monte delle Formiche.

Nelle zone in cui i fiumi (il Savena, il Reno e i torrenti minori) sboccano in pianura troviamo dei conoidi, cioè accumuli di materiali grossolani e pesanti come ciottoli, ghiaia e sabbie caratterizzati da una forma a ventaglio che si apre e degrada verso la pianura. I ciottoli più grandi vengono utilizzati come materiali da costruzione, ad esempio nella pavimentazione di piazza Santo Stefano. Quanti Bolognesi avranno giocato almeno una volta “con i ciottoli giù al fiume”…? Man mano che ci allontaniamo dal corso dei fiumi troviamo nelle piane inondabili dei materiali leggeri e più facilmente trasportabili come limo, argilla, in cui si intercalano torbe di origine organica.

I calanchi

I calanchi, tipici dell’Appennino bolognese, sono prodotti da particolari forme di erosione su terreni molto “leggeri”: argilla e limo che, anziché  generare le consuete frane, vengono dilavati dando origine appunto ai cosiddetti “calanchi”. Possiamo osservare l’alternanza di versanti più pietrosi e altri più fini, ricoperti di prati e piante. Uno dei primi osservatori scientifici di queste concrezioni tipiche dell’Appennino settentrionale fu Leonardo Da Vinci, che descrisse le rocce ivi trovate come “argille grigio-azzurre”.

Nel Bolognese si trovano anche argille ridotte in scaglie (le cosiddette “argille scagliose”) da una fitta rete di fratturazione e con colorazioni rossastre, grigio-nere, verdastre (sono note anche come “argille varicolori” o “argille variegate”): si tratta di rocce molto più antiche, formatesi fra i 180 e i 30 milioni di anni fa in un mare di tipo oceanico: l’antico oceano ligure-piemontese che superava  anche i 3000 metri di profondità. L‘ossidazione dei minerali e degli elementi presenti ne determina la colorazione particolare.

Circa 30 milioni di anni fa cominciarono i movimenti di formazione delle montagne (orogenesi appenninica) di cui possiamo vedere una traccia evidente nelle dorsali a Castiglion de’ Pepoli: lungo il crinale tosco emiliano è facile incontrare rilievi di arenarie, ovvero sabbie ricche di quarzi e feldspati che, dopo essersi depositate e accumulate sul fondo del mare, si sono trasformate in rocce e successivamente sono state deformate e sollevate dalle spinte tettoniche.

Dalla selenite all’Unesco

Nel periodo Messiniano (da 7 a 5,5 milioni di anni fa) la spinta tra Africa ed Europa chiuse lo stretto di Gibilterra. Il Mediterraneo, non ricevendo più dall’oceano un sufficiente apporto di acqua, prese ad evaporare. Cominciarono a depositarsi prima i minerali meno solubili, come il carbonato di calcio, poi il gesso e il salgemma. Questo non avvenne in modo costante, ma tramite cicli ripetuti di evaporazione ed inondazione che hanno dato origine alle tipiche alternanze di gessi e argille.

I gessi sono stati usati come rocce da costruzione perché reperibili a poca distanza dalla città e facilmente lavorabili. In particolare, i blocchi di gesso, che per la particolare rilucenza dei cristalli “a coda di rondine” erano chiamati “selenite” o pietra della luna, sono stati impiegati per la costruzione della cinta muraria altomedioevale (le “mura di selenite” appunto) e per le basi delle torri come quella degli Asinelli e la Garisenda.

In natura i gessi, essendo facilmente solubili, creano forme carsiche o grotte con circolazione sotterrane di acque, di cui il territorio bolognese è ricco. Nel 2023 il carsismo dell’Appennino settentrionale è stato riconosciuto come Sito del Patrimonio Mondiale dall’Unesco.

Vedere, studiare, esplorare
Presso la sede della Regione Emilia-Romagna in viale della Fiera 8 si trova il Museo Giardino Geologico “Sandra Forni” che offre un percorso guidato attraverso le scienze della Terra con una particolare attenzione alla geologia dell’Emilia-Romagna. Sono disponibili anche numerose pubblicazioni, divulgative, scientifiche e cartografiche, con spiegazioni per ogni età e suggerimenti di itinerari urbani ed extraurbani.
Fra i musei universitari si segnala la Collezione di mineralogia “Museo Luigi Bombicci” in piazza di Porta San Donato 1, ricchissima di minerali provenienti da tutto il mondo ma anche di meteoriti e di botroidi.
A queste concrezioni fossili dalle forme molto curiose è dedicato il piccolo Museo dei Botroidi in località Tazzola (Pianoro), incentrato sulla conoscenza tattile della geologia. Il museo è legato agli itinerari del Monte delle Formiche e della Via del Fantini.
Veri e propri “musei a cielo aperto” sono i calanchi dell’Abbadessa nel Comune di Ozzano e i calanchi della Valle del Lavino visibili sia in auto sia a piedi.
Sul crinale appenninico sono presenti numerosi sentieri che consentono di ammirare dal vivo le evoluzioni geologiche riassunte in questo articolo: ad esempio il sentiero 00 del CAI e la GEA (Grande Escursione Appenninica) che attraversa le montagne più alte del crinale, formate da rocce risalenti a 20-30 milioni di anni fa.
Per il carsismo e le grotte patrimonio Unesco rimandiamo al sito della Direzione Generale Ambiente della Regione: https://ambiente.regione.emilia-romagna.it/it/carsismo-evaporiti-grotte-appennino-settentrionale
L’Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità Emilia Orientale racchiude molti dei parchi di cui abbiamo trattato e fornisce tutte le informazioni utili sul sito: https://enteparchi.bo.it
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