Ricordi di rotaie da Bologna a Prato

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DIRETTISSIMA – La grande galleria dell’Appennino compie 90 anni. Castiglione dei Pepoli dedica una mostra a quello che per lungo tempo è stato il tunnel più lungo del mondo

di Michelangelo Abatantuono

Il 4 dicembre 1929 cadeva l’ultimo diaframma di roccia che divideva le squadre di minatori intente a perforare la montagna per la realizzazione della Grande Galleria dell’Appennino.
Da quando la ferrovia Direttissima Bologna–Firenze era diventata una una delle opere simbolo del regime fascista, bisognava accelerare i tempi per terminare al più presto i lavori. Non senza ragioni, peraltro. La principale linea ferroviaria transappenninica, la Porrettana, era una tremenda strozzatura per i traffici di merci e di viaggiatori tra il nord e il sud della penisola: a binario unico, con forti pendenze che mettevano a dura prova le locomotive di allora, e con un valico (Pracchia nell’Appennino pistoiese) sopra i 660 metri sul livello del mare, che d’inverno dava non pochi grattacapi per le forti precipitazioni.

La nuova ferrovia, che si andava faticosamente costruendo dal primo decennio del Novecento
, era stata concepita secondo canoni più moderni, con numerose opere d’arte tra ponti e viadotti, ma sopratutto con lo scavo di numerose gallerie anche di notevole lunghezza. Ciò permise di mantenere le pendenze entro valori piuttosto bassi e sopratutto di ottenere un profilo altimetrico più dolce, con una quota di valico di poco inferiore ai 300 metri sul livello del mare, nella Grande Galleria dell’Appennino.
Fu proprio questa galleria, che per decenni – in ambito ferroviario – rimase la più lunga del mondo con i suoi 18,52 km di lunghezza, la più ardita realizzazione, ideata dall’ingegnere belga Jean Louis Protche, che già era stato fra i progettisti della ferrovia Porrettana e che gettò le basi, prima di morire, della nuova linea.
I cantieri base per lo scavo del tunnel furono stabiliti a Vernio in Toscana (imbocco sud) e nei pressi di Lagaro (Castiglione dei Pepoli) nella località che poi venne detta Spianamento perché qui venne scaricata gran parte dei materiali di risulta dello scavo (imbocco Nord).

Ci si rese subito conto che sarebbe occorso troppo tempo con due soli punti d’attacco e così si pensò
di andare incontro, con altre due squadre di minatori, a chi già scavava nella montagna da Nord e da Sud. A Ca’ di Landino, piccolo borgo tra Castiglione e Baragazza, vennero scavati due pozzi inclinati che permisero di portare gli operai al piano di lavoro nel cuore della montagna e di andare incontro a quelli di Vernio e di Spianamento. Attraverso i pozzi, con carrelli elevatori, si portava in superficie anche la pietra scavata. Inoltre, dalla metà degli anni Venti, vennero impiegati molti più operai: in quel periodo su tutta la linea lavoravano oltre sei mila persone, di cui quasi la metà alla Grande Galleria.
Per fornire un’idea dell’impatto demografico, Ca’ di Landino prima dei lavori della Direttissima contava poche decine di abitanti, durante l’attività dei cantieri giunse ad accogliere oltre duemila persone, tra operai e familiari. Vi sorsero, per una breve ed effimera stagione, botteghe, spacci, osterie e tutto quanto necessario a una comunità così popolosa.

E così il 4 dicembre 1929, giorno simbolico perché festa di Santa Barbara patrona dei minatori, le squadre provenienti da Ca’ di Landino e da Lagaro si incontrarono, abbattendo l’ultimo tratto di roccia che li separava. Il 23 dicembre 1928 era invece caduto l’ultimo diaframma tra Ca’ di Landino e l’imbocco Sud, nel versante toscano. In quest’ultimo caso sembra che arrivarono prima (rispetto ai piani di avanzamento) i minatori emiliani, che escogitarono un “trucco” per velocizzare lo scavo. Per disgregare la dura montagna si faceva ampio uso di esplosivo, che veniva posizionato in appositi fori realizzati a mano picchiando con le mazze su un ferro chiamato “barramina”. Ebbene, gli scaltri emiliani realizzarono una barramina di ben 12 metri che permetteva di introdurre più esplosivo e di produrre detonazioni più potenti.
Nel volgere di pochi anni tutta la ferrovia venne compiuta e nella notte tra il 22 e il 23 aprile 1934 vi transitò il primo treno, seguito da imponenti festeggiamenti, ai quali partecipò anche re Vittorio Emanuele III. Fin da subito furono evidenti gli enormi vantaggi della nuova ferrovia, che però aveva richiesto un alto tributo di vite umane: ben 99 furono le vittime, di cui 66 per la costruzione della Grande Galleria. E molti altri si spensero negli anni successivi per le complicazioni dovute alle malattie polmonari (la silicosi innanzitutto) che avevano contratto lavorando in un ambiente altamente ostile: polveri e aria asfissiante, temperature altissime, esalazioni di gas…

Il gioiello del regime ebbe però breve durata. La scellerata guerra in cui l’Italia volle coinvolgersi colpì duramente la Direttissima, infrastruttura altamente strategica. Alla fine del conflitto quasi tutti i ponti erano stati bombardati così come gli imbocchi delle gallerie e si dovette procedere alla pressoché totale ricostruzione. Emblematico il caso del paese di Vado, completamente distrutto perché si ergeva attorno al maestoso ponte ferroviario. Anche le immagini del bombardamento della stazione di San Benedetto Val di Sambro, alcune provenienti dagli archivi militari del Sudafrica, fotografano l’agghiacciante realtà delle distruzioni belliche.

L’epopea della costruzione della ferrovia Direttissima fu una breve e vivace stagione. Uomini e donne non tornarono più in Maremma, in Corsica, nelle miniere della Germania e del Belgio, ma furono ancora costretti, col nuovo mezzo, a cercare il pane lontano dalle proprie montagne: chi divenne pendolare e chi si allontanò definitivamente dalla terra dei padri, trovando casa e lavoro nelle grandi città. La ferrovia, nel bene e nel male, aveva davvero cambiato la l’Appennino.

Presso il Centro di Cultura Paolo Guidotti di Castiglione dei Pepoli è stata allestita una mostra che ripercorre le vicende della tratta ferroviaria tra Bologna e Firenze nel tempo, a cura dell’Associazione Culturale Terra Nostra e di LZCommunication. Cinquanta pannelli con foto e testi, reperti di storia ferroviaria, modellini, libri, documenti, filmati d’antan e una obliteratrice d’epoca, che stampa – su biglietti ricordo appositamente realizzati – l’emblematica da del 4 dicembre 1929. La mostra è visitabile tutte le domeniche dalle 15 alle 18 fino al 10 gennaio 2020.
1863 scalini separano la frazione di Ca’ di Landino dal cuore della montagna, dove venne realizzata una vera e propria stazione ferroviaria, abilitata al servizio viaggiatori fino al 1968. Dato che la galleria era troppo lunga, occorreva avere un posto di blocco, con due tunnel secondari per il ricovero dei treni da mettere in attesa.
Alla mostra di Castiglione è esposto lo splendido diorama della stazione di Precedenze, nel cuore della Grande Galleria dell’Appennino, pressoché unico esempio storico di stazione ferroviaria presenziata in galleria. Il diorama è stato realizzato dall’abilissimo modellista Giovanni Rossi.
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