Il riscaldamento globale sta sconvolgendo anche le “abitudini” della fauna di tutto il pianeta: negli ultimi 40 anni gli uccelli migratori europei sono arrivati nei siti riproduttivi con un giorno di anticipo ogni tre anni
testo e foto di Paolo Taranto
(articolo pubblicato nel numero uscito nell’autunno 2017)
Il “surriscaldamento globale” ormai è un concetto comune, sempre più diffuso e sulla bocca di tutti, che sia reale o meno e quale sia la sua entità non è questo il posto più adatto per appurarlo; spesso il clima può avere dei cambiamenti temporanei che durano pochi anni (o poche decine di anni) oppure modifiche molto più durature, a livello di ere geologiche. Il cambiamento attuale è evidente, anche se ancora non sappiamo di che entità sia. Il dato di fatto, però, è che fa sempre più caldo e la siccità fa sempre più paura.
Ma la natura e gli animali come reagiscono a questi cambiamenti climatici? Il meteo rappresenta un importante fattore che spesso determina la dinamica delle popolazioni animali, annate particolarmente nevose per esempio possono portare popolazioni di determinate specie animali quasi all’estinzione per poi riprendersi negli anni successivi; una primavera particolarmente fredda può influenzare negativamente il successo riproduttivo mentre un inverno più rigido della norma può avere come conseguenza l’aumento del tasso di mortalità dei giovani dell’anno. Ogni specie vivente è il frutto di una evoluzione adattativa durata milioni di anni e se il cambiamento climatico avviene in breve tempo le specie possono non essere in grado di avere il tempo necessario per adattamenti evolutivi che richiederebbero centinaia o migliaia di generazioni. Se il cambiamento climatico non è eccessivo, le specie possono adattarsi anche in maniera più “soft” senza cioè che si abbiano modifiche evolutive a livello del DNA, per esempio spostando l’areale di distribuzione, anticipando o posticipando i periodi migratori o la stagione riproduttiva etc etc… E questo sta già avvenendo in tantissime specie. In linea generale, si può affermare che se il cambiamento climatico avviene in pochi anni o poche decine di anni e non è eccessivo ci saranno specie che riusciranno comunque ad adattarsi, specie che invece avranno grossi problemi fino anche ad estinguersi, almeno da certe zone, e specie “intermedie” che non subiranno alcun effetto; ma ci saranno anche specie che saranno avvantaggiate espandendo ancora di più le proprie popolazioni. Se il cambiamento climatico va verso il surriscaldamento e aumento della siccità, le specie che ne saranno svantaggiate sono quelle adattate a climi freddi (per esempio, in Italia, le specie alpine, che perderanno habitat) mentre le specie che ne saranno avvantaggiate saranno quelle adattate a climi caldi, ad esempio i migratori africani.
Gli specialisti che studiano la natura (botanici, biologi marini, ornitologi, entomologi) hanno già osservato da diversi anni gli effetti del cambiamento climatico proprio studiando le popolazioni animali; sono tante infatti le specie che in questi ultimi due decenni hanno espanso i loro areali e sono tutte specie adattate a climi caldi; solo per fare qualche esempio: tra i mammiferi l’Istrice, che prima era diffuso solo nel sud Italia, sta espandendo il suo areale fino alle regioni Settentrionali mentre in ambito ornitologico il Gruccione ed il Grillaio (un piccolo falco molto simile al Gheppio) hanno esteso il loro areale verso nord in maniera notevole e altre specie migratrici come l’Upupa e l’Assiolo (piccolo rapace notturno) ormai svernano comunemente in diverse regioni del centro e sud Italia; e gli esempi di espansione di areale di specie adattate a climi caldi sarebbero ancora centinaia se si considerassero le piante, gli insetti, i pesci o anche i rettili, per esempio il Geco Tarentola mauritanica; anch’esso sta infatti espandendo il proprio areale fino all’Italia settentrionale grazie agli inverni miti. Molte specie animali iniziano a riprodursi sempre con più anticipo a causa degli inverni miti degli ultimi anni e si è visto che gli uccelli migratori europei arrivano nei siti riproduttivi in media con un giorno di anticipo ogni 3 anni negli ultimi 40 anni, mentre le specie migratrici che svernano a nord del Sahara hanno ritardato il loro passo di 3-4 giorni.
Dal lato opposto invece, le specie adattate a climi freddi, che in Italia vivono nelle Alpi, sono quelle che stanno già subendo maggiormente le conseguenze del surriscaldamento e della siccità; molto spesso non è l’animale in sé che subisce dei danni ma è la perdita dell’habitat dovuta all’aumento delle temperature che ha come conseguenza una riduzione delle popolazioni delle specie che vi abitano, fino anche all’estinzione. È già evidente anche in Italia lo scioglimento e la riduzione della superficie di molti ghiacciai, ma anche a quote inferiori il cambiamento climatico sta modificando la distribuzione delle specie vegetali che forniscono habitat alle specie alpine. Si sta già notando da qualche anno infatti che nelle aree montante la stagione vegetativa è sempre più anticipata e i pascoli d’alta quota non offrono quindi sufficiente foraggio ai piccoli ungulati per esempio ai cuccioli di Stambecco, provocando un innalzamento della mortalità giovanile.
Non sappiamo ancora se questo cambiamento climatico a cui stiamo assistendo sia solo temporaneo, come spesso accade o sia di portata ben più vasta, ma quello che è sicuro è che le attività umane sicuramente lo hanno influenzato e dunque l’uomo deve cercare di intervenire in maniera reale ed efficace nel più breve tempo possibile per cercare almeno di rimediare al danno creato.