Giornalisti, stampatori, editori e testate
Il primo “giornale” in città fu quello che nel 1324 redigeva ogni mattina l’artigiano Pietro Villola, poi venne Bologna, la Gazzetta e infine, a fine ‘800, il resto del Carlino. Bologna vanta anche una gloriosa tradizione di stampatori ed editori. È stata da poco recuperata la lapide che ricorda Ezio Cesarini, ucciso nel 1943 perché si ribellò al regime fascista
di Serena Bersani
Non si era ancora usciti dal medioevo ma già Bologna era in prima pagina. Un intraprendente cartolaio con bottega a due passi da piazza Maggiore, dove poteva avere notizie di prima mano, si inventò il primo quotidiano cittadino, che compilava personalmente ogni giorno scrivendolo a mano. Siamo nel 1324, la rivoluzione di Gutemberg era di là da venire, l’idea di gazzetta arriverà tre secoli dopo. Ma l’ingegnoso precursore dei giornalisti, il bolognese Pietro Villola, nel suo negozio non si limitava a levigare pergamene ma riproduceva tutta la filiera del prodotto giornale, scrivendolo e poi “pubblicandolo”, ovvero affiggendolo all’esterno in modo che i passanti potessero leggerlo. Non sappiamo quanto fossero verificate le fonti delle notizie, trattandosi probabilmente per lo più di “vox populi”, storie ascoltate nei capannelli di Piazza Maggiore dove i precursori degli umarells sostavano per chiacchierare. In ogni caso il quotidiano medievale del cartolaio con sede nell’attuale via de’ Pignattari è entrato di diritto nella Biblioteca Universitaria, dove è conservato un codice che raccoglie alcuni di questi fogli. Vi si conserva anche un’illustrazione ad acquerello in cui è raffigurato Pietro Villola nel suo negozio di pergamene accanto al quale si vede l’alto scrittoio su cui l’artigiano compilava ogni giorno il suo gazzettino bolognese.
Per avere il primo giornale a stampa sotto le Due Torri dovranno trascorrere secoli. Nelle maggiori città europee le gazzette fanno la loro comparsa nei primi anni del XVII secolo, mentre in Italia le prime sono a Firenze e a Genova, rispettivamente nel 1636 e nel 1639. In realtà la parola gazzetta compare soltanto nel 1563, quando a Venezia esce un periodico così chiamato perché in vendita a una “gazeta”, una moneta d’argento da due soldi. Un uso, questo, che a Bologna è ben conosciuto visto che il più antico quotidiano cittadino, ancora edito, prende il nome proprio da una moneta chiamata «Carlino».
Ma Bologna vanta anche il primato in campo tipografico. La prima società tipografica italiana, la Azzoguidi, artefice dell’introduzione della stampa a caratteri mobili in città, vide infatti la luce nel palazzo di via Garibaldi 3 il 25 ottobre 1470. Il fondatore, Baldassarre Azzoguidi, impiantò il suo esercizio di fronte alla chiesa di San Nicolò degli Albari nella odierna via Oberdan e diede il via alla sua impresa con una scelta di grande impegno culturale: la pubblicazione, nel 1471, dell’opera omnia di Ovidio. In breve tempo le tipografie si moltiplicarono in città, tant’è che alla fine del Quattrocento si contavano oltre cinquecento edizioni. Insomma, la tradizione editoriale bolognese è ben radicata.
Tra gli stampatori c’era anche il sottovalutato Francesco Griffo, il disegnatore del carattere corsivo per la stampa, quel font leggermente piegato a destra che imita la scrittura manuale, utilizzato per la prima volta nel 1501 per un’edizione delle “Bucoliche” di Virgilio. Purtroppo la gloria di questa invenzione andò tutta al tipografo Aldo Manuzio per il quale Griffo lavorava a Venezia da una dozzina d’anni. Resosi conto dello scippo del brevetto, Griffo tornò a Bologna dove si mise in proprio e fu uno dei principali artefici della diffusione culturale del Cinquecento producendo classici italiani e latini in edizione popolare. La sua invenzione era, di fatto, il prodromo della cultura di massa, alla portata di tutti: il corsivo ha infatti un ingombro minore sulla pagina e ciò permetteva di stampare libri in formato ridotto, quasi tascabile, e quindi in un numero maggiore di copie. La vita del tipografo bolognese Griffo ebbe un epilogo tragico. Dopo aver sfidato a duello il genero, che viveva nella sua stessa casa, per dissapori domestici, lo uccise colpendolo con una spranga di ferro o forse proprio con un punzone tipografico. Per un delitto così c’era il patibolo e questa fu la sorte toccata a Francesco Griffo a cui seguì, forse anche per questo motivo, un’ingiustificata “damnatio memoriae”.
Ebbe maggiore fortuna un altro insigne stampatore bolognese, Lelio Dalla Volpe, che nella prima metà del Settecento produsse centinaia di edizioni letterarie, musicali e scientifiche di grande prestigio. Intorno alla sua tipografia-libreria che ebbe sede prima in via Altabella e poi in via Clavature si radunava tutta la crème intellettuale della Bologna dell’epoca. Con questo cenacolo di amici progettò di riscrivere in versi il “Bertoldo” di Giulio Cesare Croce, dividendolo in venti canti e affidandone uno a ciascuno dei componenti il gruppo. L’opera uscì nel 1736 ed ebbe grandissimo successo tanto da essere subito ristampata altre due volte risanando le sue finanze e permettendogli di continuare a pubblicare anche opere per palati più raffinati con ricchi apparati iconografici.
Dopo il quotidiano scritto a mano da Pietro Villola, in città si dovrà aspettare il 1646 per avere il primo giornale a stampa, un periodico pubblicato dal notaio Lorenzo Pellegrini, di cui uscirono almeno una cinquantina di numeri. I primi non riportano il nome della testata, ma solo quello della città e la data di pubblicazione; nell’ultimo pervenuto, risalente al 1661, spicca invece a caratteri cubitali la parola «Bologna» nella posizione di testa. Non un grande sforzo di fantasia, dunque, per la prima testata apparsa in città. In realtà le notizie locali erano piuttosto scarse e scarne, prevalevano quelle da altre città europee che erano però già vecchie di settimane se non di mesi. La testata didascalica «Bologna» sopravvisse per oltre un secolo per essere poi trasformata in «Gazzetta di Bologna». I giornalisti, detti all’epoca gazzettanti, non godevano neppure in passato di buona stampa. L’abitudine di prendersela con il cronista anziché con la notizia o con i suoi protagonisti ebbe un drastico epilogo quando venne messo a morte un tale Annibale Cappello per aver pubblicato vicende non gradite alla corte pontificia. Papa Sisto V ne chiese la testa e la ottenne. Incerti del mestiere già nel Cinquecento.
E la storia si ripete a distanza di secoli.
È il caso del giornalista del Carlino Ezio Cesarini che, il 26 luglio 1943, il giorno dopo la caduta del fascismo, tenne un breve discorso in piazza inneggiando alla libertà. Dopo l’8 settembre non volle tornare a lavorare nel suo giornale, che si era schierato apertamente con la Repubblica di Salò, decidendo di andare al sud dove c’era il governo legale. Per non lasciare la famiglia priva di sostentamento chiese la liquidazione e l’amministratore del Carlino, in accordo con la federazione fascista, gli disse che avrebbe potuto ritirarla in sede. Una trappola: al giornale Cesarini trovò ad attenderlo i militi fascisti, che lo portarono in carcere, da dove venne prelevato il 26 gennaio 1944 per essere condannato a morte e fucilato insieme ad altri sette detenuti per rappresaglia dopo l’uccisione del federale fascista da parte dei partigiani. Lo scorso anno un’imponente lapide in ricordo di Ezio Cesarini, voluta dall’Associazione stampa regionale e scomparsa per anni nei magazzini del giornale, è stata recuperata e donata dall’editore del Carlino al comitato di redazione che l’ha poi consegnata all’Ordine dei giornalisti di Bologna perché venga collocata in un luogo pubblico a memoria del giornalista partigiano che riposa nel Sacrario dei martiri della Resistenza in Certosa.